Già presentato al Torino film festival lo scorso novembre e concorrente nella categoria documentari al Bif&st , Ferrhotel un docufilm di Mariangela Barbanente e Sergio Gravili è un bell’esempio di cinematografia sposata all’impegno sociale.
Mentre la città ignora
Nell’ottobre 2009 un gruppo di rifugiati somali decidono di prendere possesso di un albergo in disarmo nei pressi della stazione centrale di Bari, questo è stato il punto di partenza per Mariangela Barbanente, filmmaker pugliese quarantenne con un diploma al Centro sperimentale di Cinematografia a Roma, e all’attivo una menzione speciale per il suo corto d’esordio Sole (2000) e diverse collaborazioni con Agostino Ferrente ,autore del noto L’orchestra di Piazza Vittorio .
Coadiuvata fattivamente dal barese Sergio Gravili, Mariangela tra il gennaio 2010 e il febbraio 2011, armata di una videocamera HD è entrata a contatto giorno per giorno con la comunità di giovani somali che, mentre la città fa la sua vita, ignorando le vicende di questi ragazzi, tenta di organizzarsi all’interno di un non-luogo privo di luce e gas ( a parte generatori e bombole procurate dagli abitanti dell’ex albergo) e di fatto abbandonati a loro stessi.
Storie di ordinaria solitudine
Zahra, Mohamed,Samira, Nasra e gli altri ragazzi hanno negli occhi la follia della guerra che infuria nel loro paese, la Somalia da più di venti anni, anche se la maggior parte di noi quasi ignora la grave situazione del paese centro africano un tempo colonia italiana.
Nella loro ordinaria solitudine affrontano la vita difficile di chi è lontano dalla patria e pur riceve angoscianti notizie dai parenti che sono laggiù e che comunque aspettano un aiuto da loro perché il clan , la famiglia è sopra ogni cosa.
I ragazzi sono apatici, abbrutiti dal loro status di rifugiato che non garantisce alcun inserimento sociale: raccontano di lavori sottopagati e ovviamente in nero, le ragazze sono più vivaci: c’è chi sogna il matrimonio e i figli, chi si preoccupa dei compagni di sventura, chi parla di quanto agghiacciante possa essere la vita in un paese in guerra, ma c’è anche Zahra, che riesce a farsi finanziare un progetto dalla regione Puglia.
La giusta distanza
Non è facile rimanere imparziali davanti a storie così drammatiche come quelle narrate nel documentario, ma la regista Barbanente è riuscita a mantenere la giusta distanza, lasciando che le vicende si raccontino da sole senza indulgere in virtuosismi registici, con rigorosa professionalità.
Un plauso quindi ai due realizzatori di Ferrhotel e un invito ai lettori a vedere questo validissimo esempio di cinema verità.