Benur – Un gladiatore in affitto: il lato oscuro dell’ “oggetto”

Dopo essere stato presentato in anteprima alla scorsa edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma, nella sezione “Prospettive Italia”, arriva nelle sale italiane il nuovo film di Massimo Andrei a sette anni dal suo esordio: dal Primo Maggio è al cinema Benur – Un gladiatore in affitto.

Trama

Sergio (Nicola Pistoia; Delitto in formula uno, Quattro bravi ragazzi) e Maria (Elisabetta De Vito) sono fratello e sorella di mezza età e abitano nella periferia romana, in gravi ristrettezze economiche. Lui ha un’importante passato da stuntman a Cinecittà e ora si ritrova a fare il centurione al Colosseo; lei lavora per una linea erotica ed è in piena depressione dopo l’abbandono del marito.

Ad interrompere la loro vita monotona è Milan (Paolo Triestino; Il mio miglior nemico, Il ritorno del Monnezza), un immigrato bielorusso con tanta voglia di lavorare e vivere in un’Italia così ostile a chi ci vive da sempre.

Trailer del film:

Oggetto non identificato

Alla conferenza stampa del film il regista Massimo Andrei, parlando dell’indefinito genere del film, ha dichiarato:

“Non volevo perdere quella comicità che scaturisce dalla mancanza totale dei mezzi, da quella miseria estrema che porta i protagonisti di questa storia a fare qualsiasi cosa pur di farcela, anche travestirsi da centurione e girare in biga per una Roma trafficata, e quindi, pensavo, con la dovuta modestia, alle atmosfere del primo atto di Miseria e Nobiltà con Totò, nell’immaginare i miei fantastici disperati…”

E’ davvero difficile poter scindere i vari generi che si trovano nel film e poterlo davvero definire. Si tinge di commedia, ma non è un film comico. Si sporca di un drammatico realismo, ma non cade in moralismi e cupezze attoriali. Il film si fa forza di una sceneggiatura estremamente teatrale e di una regia limpida e lineare che presenta e identifica sin da subito i protagonisti all’interno del contesto spazio-temporale in cui si trovano.

C’è un trittico di attori, i due fratelli da una parte e l’emigrato dall’altra che arriva da pensieri e stili di vita diversi dai loro e che ha tutta la voglia di fare i lavori più umili e malsani pur di (soprav)vivere in un’Italia dove, invece, la nuova povertà non si abbassa comunque a certi “compromessi” lavorativi.

Ad interpretare i ruoli un impreciso e fin troppo riconoscibile per essere davvero credibile Paolo Triestino con di fronte Nicola Pistoia e Elisabetta De Vito che, malgrado alcuni momenti di dialoghi “bassi” e grevi, presentano e rappresentano in modo abbastanza convincente i personaggi che la sceneggiatura ha descritto sin dall’inizio.

Forte infine il meta-linguaggio cinematografico, di un cinema italiano che non sa quale direzione prendere, di un cinema ormai lontano dai fasti passati, di una Cinecittà ormai in ombra rispetto a mezzo secolo fa e che rivive solo dei fasti del passato come tutte le macchiette vestite da centurioni davanti al Colosseo che ricordano i grandi kolossal del passato. E il titolo, appunto, diventa principio e conclusione del film e delle maschere che vivono in esso.

Leave a Reply