Registi Emergenti: Falene di Andres A. Arce Maldonado

E dopo la recensione del film Falene eccovi l’intervista al suo regista, l’italo-colombiano Andrés Arce Maldonado. Con lui parliamo della genesi del film, del rapporto con i protagonisti e di tanto altro.

Nato nel 1972 a Bogotà (Colombia) Andrés Arce Maldonado compie i suoi studi (cinematografici e non) tra Roma Bogotà e New York. Regista, attore e musicista, può definirsi un artista a tutto tondo. Falene è il suo primo lungometraggio dopo l’esperienza di Bastardi (in coppia con il regista Federico Del Zoppo).

Le domande al regista

Ciao Andrès, innanzitutto grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande. Mi racconti la genesi del film? Come sei arrivato al testo di Andrej Longo e all’incontro con i due protagonisti?

L’idea del film è di Giovanni Costantino, lui conosceva il testo e gli attori. Me lo ha fatto leggere e me ne sono innamorato. A breve ho fatto un colloquio con Andrej Longo, il quale mi ha chiesto perché volessi farlo, ho solo risposto che me ne ero innamorato… Quando ci si innamora non si sa bene il perché, semplicemente accade. Dopo aver letto Longo mi capita raramente di sentire così vivi i personaggi.

Subito dopo ho incontrato Paolo e Totò e li ho visti a teatro in una rappresentazione a porte chiuse. Da lì si capiva che erano due attori che avevano bisogno di due indicazioni: azione e stop… Questo ha determinato la scelta di girare due lunghi piani sequenza in due sedute con diversi tagli e posizioni di macchina senza mai alterare il ritmo naturale della recitazione.

Dopo alcune discussioni abbiamo trovato un compromesso tra linguaggio teatrale e cinematografico. Subito dopo sono andato a Bari insieme a Costantino per fare i sopralluoghi. Come spesso succede i luoghi reali suggeriscono le idee. Ad esempio la morte del proprietario della Ferrari, nel testo non si vede, si sente solo come rumore fuori campo…

O la “visione” di una Parigi naif. Il viaggio temporale dal tramonto all’alba e la morte davanti al mare come immensità di possibilità perduta.

In che modalità hai lavorato con Paolo Sassanelli e Totò Onnis per la realizzazione del film e com’è stato lavorare con loro?

Lavorare con Paolo e Totò è stato facile e piacevole. Hanno un bagaglio comune di esperienze e collaborazioni chilometrico. Ricevute due indicazioni sul tipo di inquadrature bisognava solo allacciarsi le cinture e mordersi le labbra per non scoppiare a ridere.

Il film è sempre un prodotto corale, frutto di una collaborazione di professionisti. Cosa pensi sia davvero tuo personale in questo film?

Il film è certamente un frutto di lavoro collettivo che però ha un’impronta registica determinata. Qualunque scelta è una scelta registica: per esempio chiedere al fonico di microfonare gli attori con dei collarini radio. Non è il miglior suono ma rende gli attori liberi di muoversi nello spazio.

Un fonico avrebbe probabilmente scelto altri microfoni per la qualità ma la regia deve tener conto di una serie di priorità e in base alle scelte subordinarne altre di conseguenza. In una recensione del film ho letto: buona la Scenggiatura, gli attori, la fotografia, il montaggio, le animazioni e le musiche, peccato solo che il regista abbia lavorato poco e male… Mi chiedo, secondo lui, chi abbia determinato le scelte che hanno portato al risultato.

Perciò devo rispondere di riconoscermi su tutto nel film, soprattutto sul look visivo. Il grande lavoro, per esempio del fonico, è stato mettere gli attori nelle condizioni di non pensare mai ai microfoni e di avere una presa diretta perfetta. Le professionalità singole si esprimono al meglio delle proprie responsabilità seguendo una linea tracciata dalla regia e non in modo arbitrario.

Come il caso della direttrice della fotografia che ha dovuto illuminare una vasta area creando sapientemente situazioni diversificate che toccavano momenti di silhouette, di taglio o di diffusa senza mai dover spostare uno stativo. Questa è una scelta teatrale adattata ad un’esigenza cinematografica in perfetto equilibrio. In questo modo abbiamo piegato tutte le scelte a favore della recitazione e del testo.

E questa è una scelta registica che aveva il supporto di bravissimi collaboratori che l’hanno resa possibile in maniera virtuosa tanto quanto la recitazione.

C’è qualche aneddoto particolare o divertente che ti va di raccontare?

Credo che uno dei più divertenti ed affettuosi sia questo: la seconda sera dopo aver finito la notturna molto tardi io e Giovanni siamo andati a mettere la macchina con il materiale in garage. Arrivati in ritardo lo troviamo chiuso. Giovanni si è offerto di dormire in macchina per permettermi di scaricare le schede di memoria delle telecamere e di riposare un po’. Dopo due ore circa ci siamo rimessi in moto per fare la scena dell’alba…

Il montaggio del film è stato affidato a Gabriella Cristiani, Premio Oscar per il montaggio de “L’ultimo Imperatore” di Bertolucci. Com’è stato lavorare con lei?

Lavorare con Cristiana è doloroso quanto affrontare i demoni interni. Vuol dire confrontarsi con la verità senza compromesso né scampo. Ti dico solo che il giorno in cui abbiamo finito il film ci siamo lasciati con un pianto e un regalo. Ho imparato molto da lei e non solo sul cinema.

Sei attore, regista e musicista. Come fai a conciliare i tre ruoli ed in quale ti senti più a tuo agio?

Io non direi di essere un regista, un musicista né tanto meno un attore… Sono una persona che si muove in questi ambiti linguistici che semplicemente non sono in conflitto. Mi sento più a mio agio nella musica che, secondo me, è la madre di tutte le arti performative in quanto non soggetta a rapporti di senso ma di sentimento.

I concetti di ritmo melodia e armonia li trovi in tutte le altre forme di espressione ma mai come nel caso della musica in una forma così pura ed essenziale.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Un nuovo lungometraggio in arrivo?

Attualmente sto preparando un lungometraggio scritto da Andrea Zauli con la mia collaborazione e con un cast molto interessante. Abbiamo tra gli altri Mohamed Zouaoui vincitore del globo d’oro come miglior attore rivelazione per I fiori di Kirkuk.

È inspirato anche questo ad un fatto di cronaca sulla morte di un ragazzo marocchino di 25 anni lasciato a morire congelato sul ciglio di una strada statale alle porte di Ferrara il 14 febbraio dell’anno scorso.

Ringrazio il regista Andrés Arce Maldonado e gli faccio un in bocca al lupo da parte di tutta la redazione per il successo di Falene.

ANDRES A. ARCE

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