L’amore ai tempi di internet: ‘Almas en juego’ di Ilaria Jovine

Può una chat su internet far nascere un amore? In acuni casi si, come ci racconta in questa intervista la regista Ilaria Jovine nel suo docufilm Almas en juego.

Almas en juego

di Francesca Barile

A metà tra il reportage e il sentimentale il documentario di Ilaria Iovine parla dell’incontro tra due anime sofferenti tra due continenti e ambedue reduci da devastanti situazioni sentimentali e di vita. Da un lato Nicola, romano, reduce da una storia con una prostituta dall’altra Diana, colombiana che da una relazione con uno spacciatore di crack ha avuto un figlio. Impossibile un incontro tra due anime in pena in un mondo antico e solo reale ma il virtuale, il social network fa il miracolo e così i due dopo aver lungamente chattato si incontrano e sono una famiglia. Complice il piccolo Nicolas, italo-colombiano che legge la fiaba di Pinocchio e chiama Nicola papà. Fiaba moderna ai tempi di Facebook e Twitter, documentario essenziale con primi piani e scene della vita di strada della Colombia più vera tra bambini che giocano e strade polverose. Commuove e stupisce al tempo stesso la storia di due anime che hanno voluto e saputo mettersi in gioco per ritrovarsi e ritrovare una vita normale. Il mondo triste e senza speranza viene vinto da un virtuale che sa trasformarsi in reale fiabesco. Allora Internet può aiutare a vivere?

Interamente autoprodotto dall’autrice, il film è costato 10.000€ grazie anche al direttore della fotografia e operatore di macchina che ha rinunciato al suo compenso. Il
film è stato selezionato alla fine del workshop Il cinema 2.0 e la rivoluzione tecnologica, organizzato dalla produzione Marechiaro Film (che ha contribuito alla produzione) alla Casa del Cinema in partnership con Il cantiere delle Storie del Premio Solinas. Il film è stato girato tra aprile e dicembre 2012 tra Italia e Colombia.

Le domande alla regista

di Antonella Molinaro

Ciao Ilaria, benvenuta su cinemio.it. Perché hai deciso di occuparti di questa storia d’amore un po’ inusuale?

E’ una storia che mi ha colpito e che, una volta conosciuta, ho sentito subito che andava raccontata. Di solito mi succede così: sono le storie che decidono. Mi ha colpito perché è una storia coraggiosa tra due persone coraggiose nonostante siano due persone fragili. Oggi come oggi, ci vuole coraggio ad essere fragili. Ci vuole coraggio ad amare e a seguire i propri sentimenti, a impostare la propria vita sull’amore, come obbiettivo principale della nostra esistenza. Chi è che lo fa? Nicola abbandona per amore una professione che lo faceva guadagnare bene, gli dava una discreta sicurezza economica. Per amore di Diana, ma anche per amore di se stesso. Sentiva di non amarsi, di non fare il proprio bene, di non seguire la propria natura. Ci vuole coraggio, oggi, a fare qualcosa semplicemente per essere se stessi.

Diana, idem. Quando ha deciso di mettere al mondo suo figlio, il figlio di un “drogadicto“, ha deciso di seguire la propria natura a scapito del comune senso della convenienza. Ed è stata coraggiosa quando ha deciso di non escludere per sempre l’amore dalla propria vita, nonostante l’esperienza traumatica che come un tragico imprinting l’aveva segnata. E’ difficile continuare a credere e a investire nell’amore dopo che ti hanno ferito. Ci vuole coraggio, anche qui. Il coraggio si pensa sia legato a grandi imprese. Credo che amare sia la più grande impresa che un essere umano possa fare. Soprattutto oggi.

I protagonisti del documentario

Ritieni che gli amori di chat possano sempre dare origine a fortunate storie reali?

Be’ è un terno al lotto. Una roulette russa. Ti può andare bene una volta su mille. Che ne sai chi c’è dietro quelle parole che leggi su uno schermo o le emozioni che vivi a distanza? E’ un grosso rischio. E anche qui, oltre alla fortuna, ci vuole il coraggio. Il coraggio di interrompere la virtualità e rendere tutto reale, verificare il tutto nel reale quotidiano. Tra Diana e Nicola, poi, la realtà era ancora più difficile ed insidiosa. E’ Nicola che per primo ha interrotto la virtualità e ha fatto il primo passo “per andare a vedere”. Ma è partito per un paese come la Colombia che non è il paese più sicuro e rassicurante del mondo. Un salto nel vuoto. Si dice che la fortuna aiuta gli audaci e nel loro caso è stato così. Credo che aiuti anche i folli, laddove la loro follia abbia un nobile scopo come trovare l’amore. Io non mi sarei fidata ed è questa differenza da me che mi ha intrigato e attirato in questa storia.

Secondo te il ricorso al virtuale è più possibile in “anime che sono costrette a mettersi in gioco” come i protagonisti del tuo documentario?

Non credo, penso sia il contrario. Ma è una cosa sottile. Il ricorso al virtuale è proprio di chi non si sente inserito nel reale, di chi non si sente a proprio agio nella realtà, di chi non ha fiducia e di chi è stato ferito dalla realtà. Come dice Nicola nel mio film: “era un po’ una fuga“. Fuga dalla realtà. La fuga di due anime perdenti, fragili, disadattate, non integrate, sole, ferite. Il bello però è che non hanno continuato a fuggire per sempre. Potevano farlo: rimanere per sempre invischiati nella rete e, allora sì, impazzire veramente nel senso più insano e negativo della follia. Invece la loro follia è sana. Sono usciti dalla rete e si sono “messi in gioco” nella realtà.

Il leit motif della fiaba di Pinocchio ha una valenza simbolica?

“Pinocchio” è stato un segnale che ho colto vivendo con loro durante i 10 giorni delle riprese. Nicolas, il figlio di Diana, stava leggendo Pinocchio: glielo avevano dato da leggere a scuola. Teneva il libro nella tenda da campeggio che aveva in camera sua e lo sentivo leggere ad alta voce per imparare a pronunciare correttamente l’italiano. E’ stato un segno. Mi piaceva la sua voce, la sua tenda piena di disegni e pupazzi e ho deciso di “utilizzare” così Nicolas nel mio film, come narratore-lettore di una favola. E allora l’ho ripreso semplicemente mentre leggeva. Poi al montaggio mi sono resa conto che la favola di Pinocchio era una cornice perfetta per la “favola” di Nicola e Diana. E Pinocchio ha assunto una valenza simbolica.

Diana e Nicola, come “anime in gioco”, sono due burattini che si buttano nella vita come fosse un gioco in attesa di diventare adulti/umani. Il loro non è il Pinocchio delle bugie (salvo quelle che si raccontano per convincersi che la loro personale visione della realtà sia quella giusta). E’ il Pinocchio credulone che si butta a capofitto in ogni avventura. Il Pinocchio che fa mille sbagli, ma paga di tasca sua gli errori che commette. Il Pinocchio burattino che in fondo è più umano di tanti umani.

Quanto di sociale, quanto di sentimentale in questo documentario?

L’aspetto sentimentale di questo documentario è abbastanza chiaro e centrale, visto che sono i sentimenti il motore di ogni azione. Sentimenti come l’amore per il proprio compagno e compagna, l’amore per un figlio da mettere al mondo come ragazza madre abbandonata, l’amore per chi ti sei ritrovato come figlio, nel caso di Nicola nei confronti del piccolo Nicolas. Ma anche sentimenti come l’amore verso se stessi, inteso come essere fedeli a se stessi, rispettare e dare credito a quel che si crede e si sente, soprattutto a dispetto di chi ti dice che dovresti essere diverso, fare altre cose più giuste e logiche.

L’aspetto sociale del film risiede nel contesto in cui vivono i due protagonisti, lo sfondo in cui si muovono, la realtà umana contemporanea. E’ sociale la solitudine in cui viviamo; il vuoto delle relazioni che viviamo che ci spinge spesso ad andare a trovare l’amore in un social network; è sociale il consumismo indotto con cui riempiamo i nostri vuoti esistenziali; l’inseguimento delle apparenze, di requisiti socio economici, come standard e status simbol per essere identificati, per avere un’identità riconoscibile; è sociale l’importanza che diamo ai soldi cui permettiamo eccessivamente di condizionarci la vita; l’idealizzazione dell’occidente come meta di un benessere effimero che spinge a emigrazioni dolorose e deludenti; è sociale il desiderio di fuggire dalla realtà o dal proprio paese, pensando che “altrove” è sempre meglio di qui.

La regista Ilaria Jovine

Ringrazio di cuore Ilaria Jovine, sperando di averla presto di nuovo ospite della mia rubrica per un nuovo interessante progetto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *