La notizia l’avrete sentita, se non eravate troppo impegnati a seguire le ultime risse tra Fini e Berlusconi: ieri è stata presentata la prossima Mostra del Cinema di Venezia. Quentin Tarantino sarà il presidente della giuria, mentre in concorso ci saranno ben quattro film italiani. Ma andiamo con ordine…
Il direttore della mostra, Marco Muller, annuncia una edizione adeguata a questi tempi di crisi economica: ad essere privilegiato dunque è il cinema “sperimentale, quasi underground”. Che poi non è mica una cattiva notizia, anzi. Come pure fa piacere la promessa (se poi verrà mantenuta, lo vedremo) di un’inedita austerity nello svolgimento della Mostra stessa: risparmiare insomma su tutto quello sfarzo di cene e feste varie che solitamente hanno luogo in laguna.
Per quanto riguarda i film in concorso, saranno 23, fra cui cinque americani e quattro italiani. Si conferma dunque, almeno nelle premesse, un momento relativamente buono per il nostro cinema: che schiererà La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo (tratto ovviamente dal romanzo d’esordio di Paolo Giordano), Noi credevamo di Mario Martone, La passione di Carlo Mazzacurati, e La pecora nera di Ascanio Celestini. Escluso invece, e questa è infatti la polemica degli ultimi giorni, il settantaduenne Pupi Avati (almeno a Venezia, dunque, si privilegiano davvero i “giovani”).
Martone e Mazzacurati sono ormai veterani dei festival cinematografici, mentre il giovane Saverio Costanzo (classe 1975, e comunque mi piace definirlo “giovane” perché è mio coetaneo) si è già fatto apprezzare con i precedenti “Private” e “In memoria di me”. Il primo l’ho visto e mi è piaciuto, il secondo ancora no. Per quanto riguarda la solitudine dei numeri primi, devo dire che del libro ero riuscito a sopportare solo le prime 40 pagine e poi l’ho abbandonato.
Ma la vera sorpresa nella quaterna è la presenza dell’attore/autore teatrale Ascanio Celestini: che certo è un personaggio notevole, spirito anarchico, forse (a mio parere) a volte un po’ retorico nel suo tipo di impegno politico. Un’obiezione, quest’ultima, che immagino sarà ricorrente; tanto che il neo-regista, intervistato oggi su Repubblica, mette le mani avanti: “Io ideologico? Racconto questa realtà violenta” è infatti il titolo del pezzo. Comunque, ciò che dice in questa occasione non fa una grinza:
Basta presentarsi in pubblico, e si fa politica. Ci vuole consapevolezza. E’ naturale prendere posizione, schierarsi in rapporto ai temi che si toccano. Io non scelgo argomenti interessanti solo per me, sento il bisogno di affrontare faccende sociali. L’impegno è vivere la contemporaneità. Un artista di oggi deve utilizzare un linguaggio anche scomodo. Se la realtà è violenta, solo un’opera d’arte altrettanto forte può far capire in che tipo di violenza si vive.