#Venezia74: Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three billboards outside Ebbing, Missouri) è il terzo film del regista e sceneggiatore Martin McDonagh che presenta in concorso qui alla Mostra del Cinema di Venezia. Tra i film più applauditi sino ad ora da pubblico e critica, il film di McDonagh dimostra sin da subito come la semplicità (apparente) alla fine premi un progetto.
Three billboards outside Ebbing
Così come parte il titolo, i manifesti sono in realtà il McGuffin hitchcockiano che permette al regista di affondare in un racconto agrodolce, una commedia quasi gotica nell’animo dei personaggi che la vivono di un’America dove l’arretratezza mentale e la chiusura risultano i mali più forti. “La rabbia genera rabbia” è un concetto alla base del film e McDonagh, che lo ha anche scritto, porta sapientemente avanti tale concetto in un gruppo di personaggi diversi tra di loro, tutti con un proprio arco chiaro e verosimile e tutti ricchi di sfumature, di errori e debolezze, interpretati da un cast di prim’ordine che eccelle con dei dialoghi dal ritmo invidiabile ed una sensibilità di regia acuta che già riconoscevamo al regista nel precedente 7 psicopatici ma che qui raggiunge una maturità di forma e di messa in scena. Interessante il lavoro di sceneggiatura nei parallelismi tra il fuori e il dentro, la solitudine e la comunità, il soggettivo e l’oggettivo, l’io e gli altri, l’essere e lo stato.
Frances McDormand incarna questa donna distrutta da rimorsi e rancori, piena di rabbia per via della perdita di una figlia uccisa e stuprata mentre tornava a casa. La donna è in combutta con la polizia locale che non ha risolto il caso e trovato il colpevole, con gli agenti interpretati da (un sempre fantastico) Woody Harrelson e un Sam Rockwell che meriterebbe almeno la nomination ai prossimi Oscar per il suo poliziotto fanatico, integralista e razzista. Ancora una volta è palese l’attacco alla situazione americana sociale e politica di oggi ed ancora più emblematico il voler raccontare tutto ciò proprio in Missouri, uno tra gli stati centrale nell’elezione di Trump. Delicato e convincente il costante equilibrio tra commedia e dramma, in un film che vive di delicate sfumature che il regista riesce sempre a raccontare ed immettere in una cornice già matura. Di certo ci riserverà sorprese in futuro.