Quando ero piccolo mi immergevo nella mia stanza, che a quei tempi condividevo coi miei nonni per via della grande famiglia e della piccola casa, mi sdraiavo sul letto col cuscino tirato un pò all’insù e con la mano afferravo il classico del giallo mensile Mondadori che tenevo posizionato senza troppa cura nella mensola fissata con gli stop da 9 da mio padre, esagerato come sempre nello scegliere il numero equiparato al peso dei libri.
Con ferocia divoravo le storie di Agatha Christie, Earle Stanley Gardner, Ellery Queen o Nero Wolfe, sostituendomi all’investigatore nell’intento di scoprire il mistero che si celava dietro un delitto, lasciandomi trasportare nelle indagini fino ad arrivare alle ultime pagine dove, qualche volta, risultavo essere io il vincitore. Amavo leggere i gialli ben fatti, così come amavo guardare in tv le serie televisive investigative. Raramente ritrovavo al cinema la stessa capacità descrittiva di personaggi ed eventi che avevano come sfondo delitti o misteri da risolvere (a meno che non andassi a recuperare i classici di Marlow o i noir francesi).
Nel tempo il cinema ha cercato di sviluppare il genere con più o meno successo (dai Soliti Sospetti a L.A. Confidential) passando per irrisolte versioni delle storie di Simenon) dedicando investimenti e tempo a roboanti film di azione dove gli sviluppi delle trame erano appannaggio dei protagonisti tutto “muscoli e distintivo”.
Nel 2010 però un film argentino ruba la scena agli Oscar americani, portando via la statuetta a Michael Haneke e al suo bellissimo “Il nastro bianco”. Il film è “Il segreto dei suoi occhi” di Juan José Campanella (tratto da un romanzo di Eduardo Sacheri) e le vicende che si raccontano hanno al suo interno tutti i dettami della crime story con rimandi alla situazione politica dell’Argentina negli anni ’70 e con una romantica relazione d’amore irrisolta.
La pellicola racconta le vicende di Benjamin Esposito (interpretato magistralmente dal bravissimo Ricardo Darìn, popolare attore argentino), impiegato presso il Tribunale di giustizia, oramai in pensione, che decide di chiudere i conti col passato scrivendo un romanzo e ritornando ad indagare su un misterioso caso giudiziario irrisolto avvenuto molti anni prima e culminato con la morte di una giovane donna.
Personaggio solitario, triste, perso nei suoi dubbi quello di Benjamin, debole e a volte vigliacco, legato ad una relazione anch’essa irrisolta, quella con Irene, l’affascinante segretaria del Tribunale nonché suo direttore ai tempi dell’omicidio (la bellissima Soledad Villamil).
All’interno di continui flashback tra il vecchio caso e l’incontro dopo tanti anni di Benjamin e Irene, si stacca di netto la figura di Pablo Sandoval (Guillermo Francella), aiuante alcolizzato di Benjamin; è lui che in effetti ha le intuizioni per la risoluzione del caso; il personaggio di Pablo è la perfetta spalla comica (esilaranti le sue risposte in ufficio per negarsi al telefono), il perfetto antieroe hollywoodiano che non riesce a fare ordine nella sua vita ma riesce a dipanare perfettamente il mistero delle indagini.
Di sfondo le vicende della situazione politica dell’Argentina si riflettono sulle vite dei personaggi (l’impossibilità dei protagonisti di cambiare la propria vita nella realtà politica e sociale prima della dittatura, la violenza e l’impunita dei gruppi militari organizzati, il potere e la dittatura) caricando la storia di un senso di impotenza (ma anche di giustizia) che danno al film corposità e spessore narrativo.
Girato con mano sapiente “Il segreto dei suoi occhi” recupera lo sguardo come ipotetica lettura della realtà e della società, come lente della memoria e dell’anima, come limpida ma inarrivabile soluzione di un amore, di un omicidio, di un’amicizia e della sua fedeltà, di un atto di giustizia che cerca risposte oltre ciò che gli occhi possono trasmettere.
Film appena visto luigi, sono rimasta sconvolta, è spettacolare, nn me lo aspettavo così bello varamente! Ottima segnalazione la tua, paola