Dal 24 aprile arriva nei cinema italiani Dilili a Parigi, il nuovo capolavoro di Michel Ocelot, l’autore di Kirikù e la strega Karabà e Azur e Asmar, per citare solo due dei suoi bellissimi lungometraggi. Ancora una volta si tratta di un cinema d’animazione di altissimo livello, che sfiora l’opera d’arte con l’andamento della fiaba, ipnotico e poetico ad un tempo. Vincitore del César 2019 come miglior film d’animazione, anche dal punto di vista estetico non tradisce le aspettative, confermando l’originalità e la creatività ormai marchio di fabbrica delle opere di questo regista e sceneggiatore francese d’eccezione.
Dilili a Parigi
Nelle prime immagini incontriamo Dilili, una bimba originaria della Nuova Caledonia, che pare immersa nella vita della sua tribù. Mano a mano che l’inquadratura si amplia, però, ci rendiamo conto che la piccola e gli altri calachi (nome della popolazione autoctona della Melanesia) sono in realtà parte di una specie di zoo umano all’interno dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889.
Con quella logica ferrea che solo i bambini sanno avere, Dilili considera che, così come gli abitanti di Parigi erano autorizzati ad osservarla, lei poteva fare altrettanto e osservarli a sua volta svolgere le loro attività abituali. Prende quindi al volo l’offerta di Orel, un fattorino che si sposta per le vie della capitale francese con una specie di triciclo e che sembra conoscere tutti i personaggi più in vista dell’epoca, e parte all’avventurosa scoperta di Parigi.
Fin da subito il suo viaggio è costellato da incontri eccelsi, a iniziare da Eve, la figlia di Marie Curie, che Orel deve andare a prendere da scuola (il Collège Sévigné, uno dei primi istituti cui potevano accedere le bambine in Francia), per continuare con Marcel Proust, col suo amico compositore Reynaldo Hahn e con Emma Calvé, soprano famosissima in quel periodo, che ricopre il ruolo di una sorta di fata madrina nel corso della storia. Dilili e Orel, nei loro spostamenti, vengono a conoscenza di un mistero che li spaventa e spinge a investigare ulteriormente: le bambine della capitale stanno inspiegabilmente sparendo ad una ad una.
Fermamente determinati a far qualcosa per impedirlo, i due protagonisti, con l’aiuto di Emma Calvé, conducono una loro personale inchiesta per scoprire chi stia dietro a queste sparizioni, e si imbattono in una tenebrosa setta segreta dalle tinte vagamente massoniche, denominata dei “Maschi Maestri”.
Seguono una girandola di personaggi storici, da Picasso, a Degas, a Pasteur a Rodin, a Gustave Eiffeil a Sarah Bernhardt, che contribuiscono, chi più chi meno, a risolvere l’enigma e sventare il piano criminoso della setta – non senza che Dilili, ad un certo punto, corra in prima persona il serio pericolo di diventarne lei stessa vittima.
Atmosfere sospese nel tempo da contorno ad un soggetto estremamente attuale e avvincente
Sono due fondamentalmente i piani in cui si snoda l’azione di Dilili a Parigi: da una parte la magnificenza estetica dell’ambientazione – la Parigi della Belle Epoque in tutto il suo fulgore – dall’altra l’intreccio quasi poliziesco – la caccia di Dilili e Orel alla setta di rapitori di giovani fanciulle.
Sul piano più propriamente scenografico, che fa da sfondo alla storia, ritroviamo il grande estro tipico di Ocelot, un vero maestro nel farci comprendere, nel regno dell’animazione 3D a tutto tondo classica ormai delle produzioni americane (e non), il fascino di un disegno più stilizzato, meno simil-reale, maggiormente in grado di evocare e di mantenere quella dimensione vagamente onirica caratteristica della favola.
Disegno più stilizzato non per questo sinonimo di minore difficoltà tecnica o di minore complessità di realizzazione: per questo nuovo lungometraggio Ocelot e lo studio Mac Guff (quelli di Cattivissimo me, per intendersi) hanno inserito delle foto reali dei monumenti di Parigi, o di alcuni oggetti di Art Déco, ai disegni ricreati al computer. Per i visi dei personaggi si sono limitati ad una lieve modellazione 3D, mentre i vestiti sono stati lasciati volutamente piatti, senza luci né ombre. Il contrasto che si crea è inedito ed efficace, così come la lentezza maggiore dei movimenti aiuta a riprodurre quel tempo-fuori-dal-tempo proprio della narrazione fiabesca.
Ma, nonostante queste premesse, laddove si innesta su questo sfondo un po’ sospeso nel tempo la trama del mistero che incombe, i ritmi si accelerano fino a sfiorare la suspense da thriller (e potrebbero, a tratti, far paura ai più piccini). Il soggetto è estremamente contemporaneo, e riguarda l’emancipazione femminile. In una Parigi all’avanguardia, faro della civiltà occidentale quale era la capitale francese a fine ‘800, inizio ‘900, non tutti accolgono con favore l’apertura nei confronti delle donne – che iniziano a poter studiare, che iniziano a eccellere in campi fino ad allora riservati agli uomini (vedi Marie Curie), che osano addirittura brillare di luce propria e avere alle loro dipendenze degli uomini, in posizioni più umili (come, nel film, Sarah Bernhardt e Emma Calvé, ad esempio).
La setta dei “Maschi Maestri”, che scimmiotta modalità vagamente massoniche, rappresenta la consueta e ineluttabile reazione dello status quo nei confronti del cambiamento: paura, chiusura, repressione. Ogni riferimento ai giorni nostri è decisamente voluto. La volontà di annullare la nascente indipendenza delle donne è resa in modo tendenzialmente bipartisan, rappresentandole come oggetto, come spesso avviene in Occidente (i Maschi Maestri le usano per sedersi) e insieme cancellandone l’identità, nascosta da un telo nero che le ricopre interamente (e qui l’analogia col burqa viene spontanea).
Per il suo forte valore educativo, la protagonista di Dilili a Parigi è stata nominata “messaggera dell’UNICEF” nel settembre del 2018, grazie ai principi che difende nel film – in particolare l’emancipazione delle donne e la lotta all’ineguaglianza tra i sessi. Dilili porta avanti anche altri valori, da sempre cari a Ocelot, come quelli dell’integrazione: all’inizio sottolinea con Orel la sua incapacità a comprendere come lei possa essere stata discriminata nella sua patria, perché la sua pelle era troppo chiara, e ora lo era in quella del ragazzo, perché la sua pelle era troppo scura.
Non soltanto per i “valori alti” è altamente valida quest’opera di Ocelot, però: Dilili a Parigi è una miniera d’oro anche di citazioni, di personaggi storici, di artisti, a volte anche meno noti, come il clown Chocolat. Il film è talmente ricco, da questo punto di vista, che è stato creato anche un dossier pedagogico grazie al quale le scuole possono utilizzare a fini didattici i contenuti del film (è in francese, ma vale comunque la pena di darvi un’occhiata, anche solo per rintracciare alcuni dei più di 100 personaggi reali che vi compaiono e molti degli scenari – o degli oggetti artistici – meno scontati, che magari sarebbe difficile riconoscere ad una prima visione).
Bilancio finale di Dilili a Parigi
Ocelot è a tutti gli effetti un cantastorie contemporaneo, in grado di raccontare fiabe moderne in un contesto fuori dal tempo, ipnotico e ammaliante. I bambini, ormai assuefatti al 3D iper-realistico, possono di primo acchito storcere il naso, ma poi vengono immediatamente incantati dal fascino atemporale delle sue narrazioni. Che hanno un fortissimo valore di insegnamento, come d’altronde tutte le favole. Fortemente raccomandato, quindi, per bambini e per adulti capaci di lasciarsi trascinare ad un tempo altro, ad un universo un po’ magico ma estremamente attuale, alla bellezza di una Parigi al suo fulgore (che, coi recenti danni al suo patrimonio culturale, ancora di più fa piacere guardare) e a una storia – purtroppo – ancora molto, troppo presente. Per ricordare sempre, come dice Marie Curie nel film: “Attenzione, non dobbiamo retrocedere!”.
Buon giorno,
cosa significa il nome DILILI?
Buongiorno Ferdinando. Il regista e sceneggiatore, Ocelot, ha dichiarato di esserselo inventato perché aveva una bella sonorità e poteva apparire sufficientemente esotico da essere associato alle origini della protagonista, la Nuova Caledonia. Ha anche detto che “è un esercizio molto difficile trovare dei nomi che non esistano già”. Con DILILI direi che ha fatto un ottimo lavoro, suona molto bene e, chissà, magari qualcuno deciderà di utilizzarlo e darlo alla propria figlia, in futuro.