Prendi un regista canadese, un attore indiano, un’attrice argentina naturalizzata francese e un copione tratto da un bestseller internazionale scritto da un francese con la passione per l’arredamento svedese e cosa ottieni? Di primo acchito si direbbe una barzelletta, invece sono gli ingredienti de L’incredibile viaggio del fachiro, uno dei film più divertenti e originali dell’anno. Diretto, appunto, dal regista canadese Ken Scott, interpretato dall’attore indiano Dhanush, dall’attrice franco-argentina Bérénice Bejo e tratto dal romanzo L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea, dello scrittore francese Romain Puértolas. In uscita in Italia il 4 luglio.
L’incredibile viaggio del fachiro
Tutto iniziò quando un maestro andò in visita a quattro ragazzotti chiusi in riformatorio per crimini minori, e propose loro di ascoltare la sua storia e poi decidere cosa rispondergli, alla domanda che farà al termine del racconto.
La storia è quella di un giovane, Ajatashatru Lavash Patel (Dhanush) che poteva essere lui o indifferentemente uno di loro. Questo giovane viveva di espedienti, faceva credere di essere un fachiro dotato di poteri magici, faceva piccoli furtarelli e imbrogli di vario genere. Un giorno, però, sua mamma, che da sempre sognava Parigi, dove viveva, secondo quanto lei diceva, il suo papà biologico, muore di un attacco di cuore. Aja decide allora di esaudire, anche se postumo, il desiderio di sua madre e di spargere quantomeno le sue ceneri nella capitale francese.
Per permettersi il viaggio, dà libero sfogo a tutto il suo talento di piccolo truffatore, riuscendo rocambolescamente a fuggire dal boss locale, che ama dirigere le truffe ma non essere truffato. Arriva a Parigi, si paga un taxi con un biglietto da 100 euro falso, che comunque riprende dalla tasca del taxista, un anziano truffatore quanto lui. La sua prima meta? Il luogo che è il suo personale sogno, da quando, bambino, sfogliava il catalogo delle creazioni e immaginava di rimodellare lui stesso ogni angolo della sua Mumbai seguendone lo stile inconfondibile: Ikea.
Emozionato come un pellegrino davanti al luogo sacro, Aja entra nell’enorme magazzino giallo e blu regno del design svedese e, tra i vari impronunciabili mobili, vi incontra un’ulteriore visione: l’angelica donna che l’istante dopo aver visto è sicuro debba essere quella della sua vita, Marie Rivière (Erin Moriarty).
Spavaldo e sicuro di sé come solo i mezzi imbroglioni sanno essere, trova un modo divertente e originale per, se non conquistarla, farsi notare. Soddisfatto del buon esito del suo primo giorno parigino, si gode il suo giusto riposo ma, non avendo dove andare a dormire, opta per approfittare del comodo interno di un armadio Ikea… e qui comincia una serie di avventure e disavventure che lo portano a toccare Inghilterra, Spagna, Italia, Libia, in una girandola di situazioni al limite del surreale che raccontare sarebbe un peccato pressoché mortale (scusate la rima, dovuto senz’altro a uno strascico favolistico della narrazione).
https://www.youtube.com/watch?v=WVTLu0GpY4E
Un vortice di situazioni inverosimili dai toni magici e ipercolorati
L’incredibile viaggio del fachiro è una scoppiettante giostra di immagini, colori e situazioni, di battute e frecciatine al sociale contemporaneo (il taxista – Gérard Jugnot – che inveisce contro Uber, “l’inferno” per la categoria, che lo ha costretto a fare un secondo lavoro, e di secondo lavoro fa l’autista Uber, per fare un esempio). Si ride e sorride molto, in particolare se non si è limitati da questa visione un po’ fantastica e forse ingenua del mondo che propone.
Ciò che ci viene presentato è visto con gli occhi allargati di stupore di Aja, un Dhanush davvero strepitoso che ci conduce per mano con quel suo fare giocoso e quel suo sorriso gentile e malizioso insieme, che già di per sé è buona parte del fascino del film. Ma i suoi occhi grandi, enormi e spesso ingenui sono quelli di un bambino, di un entusiasta che vede per la prima volta il mondo, di un artista che lo inventa a sua misura per renderlo bello ai ragazzotti ancora un po’ bambini dentro che sta cercando di convincere.
Il potere di Aja è saper raccontare storie, questa è la sua magia. Quando racconta, crea, e quando crea, i suoi universi sono ipercolorati, come è ricca di mille colori la sua fervida immaginazione. La magia un po’ ingenua, che forse lo rende, a tratti, quello che in effetti in origine manifestatamente è, una favola per bambini, è quello stesso genere di magia – un po’ sospesa un po’ surreale un po’ folle – che ci aveva, tanti anni fa, fatto amare Il favoloso mondo di Amelie, e la sua protagonista un po’ Charlie-Chapliana.
Anche Aja- Dhanush è a tratti un clown d’altri tempi, a tratti un po’ mago, fino a diventare quasi un santone, passando per John Travolta e una camicia scritta dall’interno di un baule. Non si perde mai d’animo, come solo i personaggi delle favole, ormai: crede all’amore vero, puro e eterno, e riesce in suo nome a compiere gesta incredibili, impossibili, inverosimili eppur con quel fascino per cui si continuerebbe a immaginarsele, sentendole raccontare.
Il dialogo tra Aja e la guardia di frontiera inglese potrebbe essere tratto da una scena di un film dei Monthy Python, la scena della danza da un Bollywood movie, il fatto che Aja, a causa del colore della sua pelle viene scambiato per un clandestino, pur avendo un passaporto regolare, da un documentario di denuncia. L’incredibile viaggio del fachiro è tutto insieme, come nelle migliori storie: un racconto affabulatorio il cui scopo è convincere che ognuno è in grado di riscrivere la propria storia, e di cambiarla.
Non è propriamente incasellabile in un genere – anche se il romanzo da cui è stato tratto è stato definito il capostipite di un genere nuovo, il “fachirocomico”. Forse il finale è eccessivamente buonista, ma d’altronde è ciò che capita spesso nelle favole. Quando, al termine, viene domandato a Aja se fosse una storia vera, lui con quella placida verve che lo contraddistingue risponde “solo nelle parti importanti”.
Bilancio finale de L’incredibile viaggio del fachiro
Nelle parti importanti, L’incredibile viaggio del fachiro fa ridere in modo inconsueto e intelligente, il che già di per sé lo rende un film che val la pena guardare. Nelle parti importanti, stupisce, perché il protagonista ha quell’acume del guaglioncello di strada napoletano, quello stesso sguardo vivo e vibrante, quel sorriso scanzonato che sa farsi perdonare ogni peccato. Nelle parti importanti, L’incredibile viaggio del fachiro fa star bene, nel senso più consono dei “feel-good movies” di cui, non a caso, è stato tacciato far parte: forse difficilmente risolverà i problemi dell’immigrazione, a cui in più punti e modi accenna, ma che i ragazzi del riformatorio vedano che “un altro mondo (e modo) è possibile” pare più che plausibile.
Forse ci sono anche altre parti, meno importanti, in L’incredibile viaggio del fachiro. Dove, ci sta, c’è un po’ troppo buonismo; dove, ci sta, c’è un happy ending che neanche più nei film Disney; dove, è possibile, alcune tematiche potevano affrontarsi in maniera più seria. Ma nell’insieme è un film davvero gradevole, che, a seconda dell’indole, può strabiliare e far innamorare. Adattissimo per le calde sere estive.
Bizzarra la trama
Decisamente, ma nel buon senso del termine!