Camera d’oro al Festival di Cannes 2017, Montparnasse Femminile Singolare, primo lungometraggio diretto da Léonor Serraille, che ne è anche sceneggiatrice, esce il 24 maggio nei cinema italiani.
La bravissima interprete principale è Lætitia Dosch, che, per questo ruolo, ha ricevuto anche la nomination come migliore attrice ai César 2018. La sceneggiatura del film è stata scritta dalla regista come suo lavoro di fine studi alla Fémis, la celebre scuola di cinema statale francese con sede a Parigi.
Montparnasse Femminile Singolare
Paula (Lætitia Dosch) è una “Jeune Femme” (“giovane donna”, come recita il titolo originale del film) sui trent’anni. È appena tornata a Parigi dal Messico, dove ha vissuto una decina d’anni con il suo ex-insegnante, divenuto fotografo di successo anche grazie alle foto che le ha scattato.
Per un motivo mai veramente precisato il ritorno a Parigi dal Messico coincide con la decisione del fidanzato, Joachim (Gregoire Monsaingeon), di rompere con lei, mettendola letteralmente alla porta.
Incontriamo Paula mentre prende a testate, ferendosi, appunto la porta che l’ex-fidanzato continua ostinatamente a tenerle chiusa in faccia, nonostante tutte le sue preghiere e le sue insistenze. Lei resta fuori, con un gatto in braccio, con la fronte sanguinante, con nelle orecchie la voce, distante, dal citofono, di Joachim, il fidanzato, che le intima di andarsene.
La ritroviamo all’ospedale, Paula, mentre ci parla direttamente in camera, anche se in realtà sta parlando ad un dottore. È arrabbiata, è spaesata, è sola, non sa che fare né dove andare, non sa accettare che “prima era tutto, per lui, ed ora non è più niente”. Ed inizia a vagare.
La seguiamo vagare per Parigi, spostarsi di case, dove cerca di farsi ospitare; cambiare lavori, dalla babysitter alla commessa del “Bar a culotte” del centro commerciale. La vediamo parlare, un po’ con chiunque, inventare storie, farsi passare per chi non è, attrarre ed essere attratta da uomini, donne, litigare con molti di loro, a lungo tentare di riparlare con Joachim, che continua a restare solo una voce, distante e lontana. Essere cacciata – dall’amica, dalla madre, quasi dal proprietario del motel. Non essere vista, o ricordata, lei che ha un occhio di un colore ed uno dell’altro, i capelli rossicci ed un cappotto aranciato, e non dovrebbe passare inosservata. Andare in giro sempre col gatto in braccio.
E poi piano piano la vediamo rimettere insieme i pezzi, rimettersi insieme lei, trovare un senso nel lavoro, affezionarsi alla bambina a cui fa da babysitter, affezionarsi alla guardia del centro commerciale dove lavora, trovare un posto più adatto per il gatto.
Fino alla svolta finale, che sarà probabilmente l’inizio di un nuovo viaggio.
Come un one-man-band, un one-woman-film
Montparnasse Femminile Singolare ruota tutto attorno alla protagonista. Al suo vagare per Parigi, che è anche un vagare nella sua vita. Paula sbanda, non ha una direzione, va dove la porta il vento, più ancora che il cuore del noto romanzo.
Il suo è un viaggio quasi all’inverso rispetto al modello classico, che vede la povera fanciulla alla fine giungere alla meritata ascesa sociale e all’incontro col “principe” che la salverà.
Paula all’inizio del film è sola, sperduta e abbandonata. Si arrabbia quando il dottore, per consolarla, gli dice che lei è una Jeune Femme, una giovane donna libera, che in fondo è un bene – perché lei non voleva essere “libera”, voleva essere dov’era, con la persona di cui era innamorata. Ora non ha soldi, lavoro, una casa. Capirai che libertà. Deve ricominciare tutto da capo: questa è la sua libertà.
Lætitia Dosch regge stupendamente un ruolo che sfiora il ritratto generazionale, di quell’insieme di trentenni che, potendo fare ed essere qualsiasi cosa, si sono ritrovati a non essere nulla. E con la loro libertà di prendere, andare, partire, seguire l’attimo, sono stati costretti ad un certo punto della loro vita, a doversi re-inventare, senza saper bene dove poter parare.
Ma nonostante ci siano momenti quasi drammatici – la solitudine, la mancanza di appoggi, di soldi, il rapporto orribile con la madre, la rottura drastica col compagno, la durezza di una città come Parigi che, per lei, “non ama le persone” – Paula/Lætitia Dosch mantiene una leggerezza, una solarità, una spensieratezza ed un certo grado di follia che rendono il tutto, al contrario, al limite del comico. Basti pensare al delirante colloquio di lavoro per il posto di commessa, al ballo col viso truccato con la Nutella davanti alla bambina sconcertata (che le chiede se ha fumato), a quando si aggrappa alla ringhiera della scala per non farsi sbattere fuori di casa (un’altra casa) dalla madre. Ma ci sono innumerevoli altre scene del genere.
Il personaggio finemente scritto da Léonor Serraille è stato paragonato da alcuni critici alla stralunata bizzarria di una Giulietta Masina in La Strada. Deve sicuramente parte del suo fascino a questo suo rimanere costantemente in bilico tra una certa dose di pazzia, che tiene lo spettatore anch’egli sempre in movimento, nella costante incapacità di sapere cosa viene dopo, e, all’opposto, una serie di connotazioni estremamente concrete e attuali, che ricollocano la protagonista nella Parigi dei giorni nostri, del precariato e della fluidità – sociale, sessuale, economica.
Il viaggio all’inverso di Paula la porta gradualmente ad allontanarsi sempre più dalla situazione iniziale: ragazza, probabilmente benestante, aveva lasciato tutto per vivere “la libertà” di seguire il suo amore per il fotografo (di famiglia ricca) con cui aveva vissuto in Messico. Tornata in patria, si era ritrovata con una libertà che non voleva, quella di essere sola, e di dover ricominciare. E alla fine del suo percorso apparentemente sconclusionato e completamente improvvisato per i quartieri di Parigi e i vari mestieri – di ogni genere e sorta – che riesce ad arrabattarsi a fare, la ritroviamo con qualche amico “vero”, con uno straccio di rapporto con la madre, con un minimo di radici, anche se immerse in un quotidiano meno esotico e spettacolare.
Da musa del fotografo più o meno celebre che vive nel paese straniero diventa trentenne che si finge ancora studente per vivere in una camera di servizio, e fare la babysitter part-time e la commessa al centro commerciale. MA per assurdo quello che potrebbe essere visto come un degrado a livello sociale per Paula e come una perdita della sua precedente libertà diventa l’esatta antitesi. Simbolizza il suo ritrovarsi. Il suo finalmente comprendersi non semplicemente in “funzione di” qualcun altro, come appendice di qualcun altro.
All’inizio del film Paula pensa di sé di essere onesta, ma non particolarmente brillante; e di non essere più niente, quando smette di essere “vista” dal suo lui – il cui obiettivo, non a caso, la rendeva “qualcuno”, una persona speciale, di cui ricordarsi.
Alla fine del film Paula si accorge che non è più questo ciò che vuole. Che ha imparato a vedersi da sola. E che, essendo se stessa, altre persone hanno iniziato a vederla. È diventata, per loro, qualcuno. Come prima non era mai stata.
Bilancio finale di Montparnasse Femminile Singolare
Film sempre in movimento, segue il vagare frenetico di Paula/Lætitia Dosch con divertita giocosità.
È un viaggio, a tratti travolgente, a tratti sconcertante, che fa sorridere e a volte non fa comprendere dove voglia andare a finire. Se ci si fa guidare dallo sguardo della protagonista, dalla sua vitalità, il percorso si fa piacevole. Se ci si ferma troppo a chiedersi perché e per come (come mai gli altri personaggi sono una specie di girandola sommariamente abbozzata, per quale ragione la madre ce l’aveva così con lei, perché hanno rotto con Joachim, come mai sono tornati dal Messico, e quant’altro) si perde il piacere e il fascino di questo turbinoso ma produttivo cammino. Per apprezzarlo, bisogna lasciarsi trasportare.