#Venezia74: Alla Mostra del Cinema di Venezia oggi è stato presentato Strange Colours, della giovane regista esordiente Alena Lodkina, primo di un gruppo di film prodotti interamente dalla Biennale College Cinema con la limitazioni di un budget di 150.000 euro e una realizzazione (dal soggetto al prodotto concluso) in massimo 10 mesi. Ecco che, però, il maggior limite di questo piccolo film di appena 85 minuti (e si sentono tutti) è proprio l’essere stato costruito per essere il ‘tipico film da festival’, nell’accezione più negativa del termine.
Strange Colours
E’ chiaro che, come sempre, il mio rimane un parere soggettivo e personale ma un festival come Venezia, che più che mai negli ultimi anni ha tentato di svecchiarsi trovando la strada (l’anno scorso citiamo soltanto La La Land e Arrival) del film di genere e di quel cinema che senza perdere l’identità autoriale trova spazio nel cuore di un pubblico ampio, sembra con questa operazione aver fatto parecchi passi indietro.
Strange Colours risulta un’operazione quasi priva d’identità, ibrido tra una drammaturgia documentaria ed una resa di finzione, dove il cast regge con difficoltà gli scarni dialoghi e dove nulla accade (il film si poteva chiudere in 30 minuti al massimo), relegando solo la testa e la coda del film per dargli un senso evolutivo, il tutto con una protagonista completamente passiva e acerba. Non aiutano neanche gli affascinanti scenari australiani né gli atipici abitanti che la protagonista Milena incontra nell’andare a trovare il padre malato e durante il suo breve trasferimento in quel luogo bucolico. Il problema, ripeto, non sta nella scelta di come raccontare una storia ma più volte, durante la proiezione, mi sono domandato la reale necessità di questa onnipresenza mortifera lungo il tragitto del racconto e di quanto, forse, si poteva opzionare per una strada alternativa, meno aulica e più concreta per dare sapore alla storia e carattere a personaggi che si dimenticano già durante il tragitto che la Lodkina ci ha proposto di affrontare.