Continuiamo a parlare del film In fondo al bosco, già recensito per cinemio ed in concorso al Sudestival 2016. Abbiamo avuto la possibilità di parlarne con il regista Stefano Lodovichi e l’attrice protagonista Camilla Filippi che hanno risposto alle nostre domande.
In fondo al bosco: intervista al regista Stefano Lodovichi
I protagonisti del tuo film subiscono un carico psicologico notevole. Come hai lavorato con i tuoi attori per raggiungere l’obiettivo? In particolare com’è andata con i due piccoli protagonisti che interpretano il bambino in due età differenti?
Non è semplice raccontare storie come questa. Sono storie che vivono di snodi delicati dove ogni minima disattenzione può far crollare la tensione o la credibilità interna alla storia. Da questo punto di vista Camilla e Filippo sono stati un grande aiuto per me perché è anche grazie alla loro bravura, intelligenza ed esperienza, che sono riuscito a non perdere mai di vista la direzione dei loro personaggi.
Per il ruolo di Tommi il discorso era diverso: avevamo bisogno di due bambini, uno di cinque e l’altro di dieci anni. Se con Teo si trattava di confrontarsi già con un attore professionista, per quanto bambino, con il piccolo Alessandro Corapi (aveva 4 anni durante le riprese), il discorso era diverso. A un bambino piccolo non puoi spiegare una scena, e anche chiedergli di correre da un punto a un altro di un bosco diventa un’impresa titanica. Devi trovare il modo di entrare nel suo mondo, giocando con lui a fare il cinema. Poi ci sono mille trucchi o trucchetti che cambiano in base al bambino che hai davanti ma senza un approccio corretto rischi di compromettere il film. È un lavoro delicatissimo perché non sai mai cosa potrebbe spaventarlo, e in un film come il nostro il rischio era costante. Anche per questo motivo non smetterò mai di ringraziare i miei assistenti e tutta la troupe che ha avuto la sensibilità di capire quanto fosse importante mettersi al suo servizio durante quelle scene.
Nelle note di regia hai affermato di ispirarti a Friedrich, Turner, Füssli, Goya. Come hai lavorato con il direttore della fotografia per ottenere questo risultato? E con l’autore della colonna sonora?
Alle superiori andavo bene soltanto in storia dell’arte. Così all’università mi sono iscritto a critica del cinema, che di fatto era un distaccamento di storia dell’arte. Cerco sempre dei rimandi artistici quando lavoro ai miei progetti. Probabilmente perché sono dentro di me, tanto quanto lo sono per i miei collaboratori.
L’idea dell’approccio artistico del film era chiara: volevo ricreare una dimensione oscura, romantica, dove la natura avesse un ruolo importante, a tratti inquietante. Un luogo dove il freddo fosse palpabile e dove di notte scendesse il buio vero, quello dove non vedi a più di qualche metro da te. Un mondo dove le luci negli interni fossero calde e fioche, come se fossimo in un villaggio di inizio ‘900, senza elettricità.
Friedrich, Turner, Füssli o Goya non sono stati quindi soltanto dei riferimenti per la fotografia ma per tutti i collaboratori perché l’approccio estetico di un film è unico per tutti i reparti: per questo motivo la fotografia (di Benjamin Maier) era studiata in sinc con le scenografie (di Daniele Frabetti) o i costumi (di Ginevra De Carolis). Ogni colore è in relazione con un ambiente e, insieme alla luce, racconta qualcosa. Tutto quello che fai è una dichiarazione precisa e, quindi, una scelta narrativa: la luce che nasce dall’incontro con una determinata superficie crea un senso preciso che deve essere funzionale alla scena che devi raccontare.
Per quanto riguarda le musiche, non sono molto esperto. Spesso mi capita di riferirmi ai suoni e alle note con linguaggi altri (colori ecc). Anche per questo ho bisogno di musicisti che siano, prima di tutto, pazienti. Le musiche di In fondo al bosco secondo me sono meravigliose. Riccardo Amorese è stato un compagno di avventura perfetto, attento alle richieste che facevo, alle suggestioni iniziali, e con una vena creativa originale e curiosa. Ogni volta che ci trovavamo con Roberto Di Tanna (il montatore) nel suo studio, Riccardo ci sorprendeva con brani che non mi sarei mai aspettato e che, dopo pochi minuti, sembravano già lo spirito del film.
Per tutti questi motivi avere una squadra giusta è il primo vero grande risultato per un regista.
In fondo al bosco: intervista alla protagonista Camilla Filippi
Ciao Camilla bentornata su cinemio. Come hai lavorato con Stefano Lodovichi per la costruzione del tuo personaggio, il cui carico psicologico è molto forte?
Lavorare con Stefano è stata un esperienza molto bella, ci ha lasciati liberi senza mai smettere di guidarci. Abbiamo provato molto, abbiamo scelto la strada della verità, partendo da un estetica cruda e onesta, che mi è stata molto utile.
Da mamma ti sei immedesimata nella tragedia della perdita di un figlio o sei riuscita a vivere questo ruolo con distacco?
Da madre è impossibile non identificarsi, ci sono stati giorni molto dolorosi che mi sembravano non finire mai. Per fortuna c’era Stefano, Filippo e il resto della troupe che mi ricordava che era solo un film, e mi facevano divertire e dimenticare il dolore che certe volte mi si attaccava addosso.
Parliamo un po’ del cast. Come hai scelto gli attori per il film?
I protagonisti del film sono Camilla Filippi e Filippo Nigro. Interpretano Linda e Manuel – una coppia in crisi da anni. Lei, della zona, lui il tipico forestiero che non si è mai riuscito a integrare in una comunità chiusa come quella del paese che raccontiamo – sono sconvolti dal ritorno di Tommi (Teo Achille Caprio), il figlio che cinque anni prima era scomparso proprio durante la festa dei Krampus.
Il ruolo di Manuel era un ruolo difficile: un uomo duro, vittima degli eventi e dei pregiudizi della provincia, rimasto schiacciato e rinchiuso in se stesso per tanti anni. Avevo bisogno di un attore che avesse questo duplice aspetto: sia la rudezza tipica di chi vive in quelle zone e si è incattivito negli anni, che la delicatezza d’animo e la sensibilità di un padre ferito. E Filippo è stato magnifico nell’interpretare senza filtri questo ruolo.
Camilla ha un talento enorme, una forte personalità e una volta che lavora su un personaggio lo mette a nudo e ne studia ogni aspetto con una dedizione maniacale. Il personaggio di Linda si è formato, scena dopo scena, anche grazie ai confronti che avevo con lei. Insieme l’abbiamo caratterizzata con sfumature che la rendono un personaggio incredibile, con un’umanità dilaniata dal dolore e una personalità complessa e conturbante.
Per il piccolo Tommi il discorso è stato più complicato (ma neanche troppo). Con Fabiola Banzi, la casting director del film, abbiamo provinato molti bambini, tutti bravissimi, ma Teo aveva una facilità nel trovare sfumature inquietanti che era fondamentale per il suo personaggio.
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