Venerdì, serata di apertura del Film Maker Festival: coda fuori dal cinema, sala piena e diverse persone che dovranno rinunciare a vedere Nomad, film di Werner Herzog dedicato a Bruce Chatwin. Di questi due giganti che hanno camminato per il mondo ne è rimasto oggi solo uno ma Chatwin, come ci ricorda benissimo questo film, riesce ad arrivare ancora ovunque.
di Cristiano Salmaso
Nomad di Werner Herzog
Il ragazzo che sognava di fare l’esploratore che viene evocato all’inizio della pellicola si appassiona presto alla preistoria, ai misteri dell’evoluzione e al sogno di un viaggio che non può che essere quello di un nomade, quindi senza fine. Attraverso i capitoli del film seguiamo così le tappe di un cammino intrapreso per vocazione, per necessità, perché “il mondo si rivela a chi lo attraversa a piedi”; parole di Chatwin che sembrano dello stesso Herzog, fortemente presente in tutto il film (che “è su Chatwin non su di me!” come si trova lui stesso a dire).
E’ del regista la voce narrante, anche quando ci ricorda di un suo viaggio a piedi da Monaco a Parigi intrapreso nell’inverno del ’74 e raccontato nel libro Sentieri nel ghiaccio .“Solo se fosse un film, crederei che tutto ciò è vero” scriveva Herzog allora, ed ecco di nuovo la specularità tra il regista e lo scrittore. Molto spesso, dichiara un intervistato nel film Nomad, Chatwin veniva accusato di inventare, di non dire la verità quando invece la abbelliva per renderla ancora più vera: non diceva una mezza verità ma una verità e mezza!
Questa verità e mezza diventa In Patagonia, viaggio capolavoro di Chatwin e Le vie dei canti. I capitoli del film che li raccontano sono rispettosi del piglio storico e scientifico dei testi e al contempo della loro voce mistica e sorprendente, restituendo intatto quel coraggio per le cose strane che tanto accomuna il regista e lo scrittore.
Il trailer del film
Prima di incontrarsi, Werner Herzog e Bruce Chatwin avevano camminato per anni vedendo le stesse cose; Chatwin, che amava i “paesaggi sconvolti” dei film di Herzog e che in Ghana si era spaventato della follia del set di Cobra verde, entra alla fine lui stesso come protagonista del suo film: le immagini della “gente più bella del mondo”, la tribù dei Wodaabee, si mescolano a quelle del suo primo spettatore, un Chatwin ormai ridotto ad uno scheletro, seppur con gli occhi vivissimi.
Il suo zaino, che lo aveva accompagnato in tanti suoi viaggi, una volta passato nelle mani di Herzog diventerà esso stesso il filo conduttore degli ultimi capitoli del film, salvando simbolicamente (ma neanche troppo) la vita al regista durante le riprese di Grido di pietra, proprio in Patagonia.
La voce fuori campo della moglie, personaggio apparentemente di contorno ma in realtà sempre presente – nel film come nella vita – accompagnerà le ultime immagini di un Bruce Chatwin nomade ma anche fortemente legato alle colline del Galles e all’amore incondizionato della sua Elizabeth.
ottima recensione da seguire