Nightbitch, il nuovo film con Amy Adams, è disponibile su Disney+ dal 24 gennaio. Scritto e diretto da Marielle Heller, si basa sull’omonimo romanzo bestseller di Rachel Yoder (pubblicato in Italia da Mondadori, 2023). Nel cast anche Scoot McNairy (Monsters, 2010; Argo, 2012), Ella Thomas, Zoë Chao e i gemelli Arleigh ed Emmett Snowden nel ruolo del figlio.
Nightbitch
La protagonista (Amy Adams) decide di rinunciare alla sua ben avviata carriera artistica per prendersi cura del figlioletto di due anni. Sola e isolata, perché il marito è spesso in viaggio per lavoro, inizia progressivamente a sentirsi come un animale in gabbia. Forse anche a causa degli istinti animaleschi che parto e gravidanza le hanno risvegliato, si trasforma progressivamente (e letteralmente) fino a riscoprire una nuova sé. E a trovare un nuovo “branco”, formato da altre madri nella sua stessa situazione.
Nightbitch – Official trailer
Un film indefinibile, tra satira horror realismo magico e denuncia femminista
Nightbitch esordisce con un incontro casuale al supermercato. Una persona della vita precedente della madre, quella in cui lei era una promettente artista, le chiede come stia andando. E la madre risponde come ogni madre avrebbe risposto se avesse osato essere sincera. Con sé stessa, in primis. Parte con un monologo alla America Ferrera in Barbie, di quelli che, se andassimo a scuola, ci scriveremmo in agenda. Non andando a scuola, lo trascrivo qua:
“Mi sento bloccata in una prigionia che mi sono costruita da sola, in cui mi tormento finché non mi ritrovo ad abbuffarmi di schifezze fino a mezzanotte per non piangere. E ho l’impressione che le norme societarie, le aspettative di genere e la buona, vecchia biologia mi abbiano obbligato a essere questa persona che non riconosco e per questo sono incazzata tutto il tempo. Vorrei tanto che tutto questo potesse almeno diventare un’opera d’arte, di critica alla società, ma la mia testa non ragiona più come prima di avere un figlio, e ora sono stupida. E ho paura che non sarò mai più intelligente. Né felice. Né magra”.
Ma, poiché non osa essere sincera, risponde come ogni altra madre avrebbe risposto in quella identica situazione. Mentendo. Sorridendo. Dicendo ciò che ci si attende da lei: “È bellissimo essere una neomamma”. Il film procede su questo doppio binario (quel che pensa veramente vs quel che dice o fa) con un’altra serie di momenti memorabili. Uno dei migliori? Quando suo marito, in pieno delirio da mansplaining spinto, le suggerisce di organizzare meglio le sue giornate per essere più felice. E lei – purtroppo, solo –immagina di rispondergli con un sonoro schiaffone. Scatta la ola a casa di tutte le donne che hanno potuto facilmente immedesimarsi.
Altrettanto facile l’immedesimazione anche quando non sopporta le canzoncine dei babyclub di lettura. Quando passa le giornate a ripetere, immancabilmente, le stesse azioni: fargli da mangiare/farlo giocare/farlo pulire/farlo uscire/farlo dormire. E quando trova strano diventare amica di donne con cui si ha in comune solo l’aver tutte partorito.
Per non parlare di quando, le volte in cui il marito è presente e si occupa del bambino lui (ovviamente, dietro esplicita richiesta), viene chiamata ogni tre secondi per fare le stesse cose che lei fa tutti i giorni completamente da sola.
Nightbitch fa ridere, fa riflettere, crea un’immediata identificazione – non per nulla la protagonista non ha un nome e il figlio è “Baby”, potrebbero essere chiunque. Sottolinea temi di cui si parla ma che poi restano tali, e ognuno si ritrova individualmente ad affrontarli.
Evidenzia anche l’importanza di un aspetto essenziale, la rete. Che qui è ancestrale, è il branco, e che nella vita moderna è spesso perduto. Si è soli a crescere i figli, in parte come si è sempre stati, ma si è anche molto più isolati. La protagonista lo è tantissimo, e infatti, quando si apre a crearsi un nuovo cerchio di amicizie, che riflettano la sua nuova identità, le cose cambiano. Ma per farlo deve, ovviamente, prima partire dall’accettare questi nuovi aspetti di sé, questa parte animalesca risvegliata dall’aver messo al mondo un figlio e che ora chiede prepotentemente di potersi liberare. Lasciar andare.
Quel che rende originale la narrazione di Nightbitch, credo seguendo la falsariga del libro (che non ho ancora letto), è che tutto questo processo di trasformazione e riscoperta diventa letterale. Concreto. Antico, misterioso, oscuro e insieme sorprendente, favolistico, potente, come solo il realismo magico sa fare. Con quel procedimento un po’ infantile, da albo illustrato, di attuare la metafora, mostrarla come se la si dovesse prendere alla lettera. Che è un modo interessante di vedere la realtà e di sottolinearla con ancora maggior forza.
Bilancio finale di Nightbitch
Da vedere. Forse l’unica pecca è la fine un po’ troppo “risolta”, ma tutto sommato si può considerare non realistica anche quella, solo un’altra metafora di come le cose possano andare quando si accettano i cambiamenti. Anche interiori. Anche preoccupanti. Un bel discorso sulla maternità vista in modo meno idealizzato. “La maternità è intensamente brutale”.