Un mondo fragile, l’opera prima di César Augusto Acevedo, nelle sale dal 24 settembre. Uscendo dalla sala cinematografica, la prima azione che si vorrà compiere sarà quella di sbattere i panni che si indossano, per far volar via la polvere che lo spettatore sentirà addosso dopo essere stato immerso quasi fisicamente per 92′ in quello che il titolo italiano del film definisce (pessimamente) Un Mondo Fragile . Il titolo originale del film è invece “La Tierra Y La Sombra” , letteralmente “La Terra e l’Ombra”, che restituisce molto meglio la chiave di lettura e il senso delle contraddizioni di un mondo contadino che più che fragile potrebbe definirsi crudele.
Un mondo fragile, l’opera prima di Augusto Acevedo
Scritto da Matteo Martinelli di @Percorsi Up Arte
Un mondo fragile ci descrive attraverso il tragico racconto di un episodio di una famiglia di contadini sudamericani, la crudele condizione dei “corteros”, moderni schiavi, tagliatori di canne da zucchero, pronti a morire di lavoro, paradossalmente per avere una speranza di sopravvivenza. Questo racconto che fotografa la realtà sud americana, può di certo essere trasposta però anche il altri contesti geografici, soltanto cambiando volti e nomi dei protagonisti del dramma.
Alfonso è un vecchio contadino che, dopo un abbandono durato anni, torna dalla sua famiglia per accudire il figlio Gerardo. Al suo ritorno ritrova la famiglia segnata e piegata dagli eventi ma nonostante tutto fieramente unita. Il paesaggio che lo aspetta invece sembra uno scenario apocalittico: vaste piantagioni di canna da zucchero circondano la casa e un’incessante pioggia di cenere, provocata dai continui incendi per lo sfruttamento delle piantagioni, si abbatte su di loro. Per Alfonso è il momento di perdonarsi, farsi perdonare e riscattarsi, cercando di salvare la sua famiglia.
Un mondo fragile; una lirica sulla fatica e sulla crudeltà del mondo contadino del sud america.
Il regista César Augusto Acevedo al suo primo lungometraggio si cimenta con un’opera drammatica e intensa, riuscendo a mostrare sin dalle prime inquadrature uno stile particolare e personale. La fotografia dai colori saturi, caldi e pastosi, rimanda a una tradizione iconografica sul mondo rurale. La sceneggiatura è una partitura fatta di silenzi, rumori e suoni della natura, che sembrano interrotti dai gesti lenti e faticosi dei personaggi, e dalle parole affaticate e rauche. Tutte le immagini sono rese materiche dalla danza della polvere che sembra essere la vera protagonista del film e che riesce a tratti fa sentire in dispnea la platea. Tutti questi elementi coinvolgono lo spettatore in una esperienza quasi “fisica”, tanto da farlo sentire quasi a disagio nello “spiare” il dramma familiare che si consuma sotto i propri occhi. Una sorta di voyeur, in una storia in cui è coinvolto senza essere contemplato, grazie alla verità degli attori, che non sono professionisti, ma sono veri contadini e si portano addosso, nelle pieghe di ciascuna ruga, la realtà di ciò che sono e non la verosimiglianza di chi devono interpretare.
Un mondo fragile è un’opera prima coraggiosa e riuscita, sebbene chieda un po’ troppo al proprio soggetto. Una storia privata che vuole divenire simbolica e rappresentativa di una condizione generale per i contadini del sud america, ma che non ha abbastanza forza drammaturgica. Sicuramente tale film non sarà citato negli elenchi dei “Film da vedere” o “I 515 film più belli di sempre”, ma di certo merita una visione da tutti coloro che avranno la possibilità di apprezzarlo distribuito in una sala cinematografica.