Esce il 18 ottobre in Italia The Children Act – Il verdetto, tratto da un libro di Ian McEwan e da lui stesso riadattato per lo schermo. Diretto da Richard Eyre, ha come protagonista assoluta l’impareggiabile Emma Thompson e, in un ruolo marginale, come suo marito nel film, Stanley Tucci.
The Children Act – Il Verdetto – locandina
The Children Act – Il verdetto
Fiona Maye (Emma Thompson) è giudice della Corte Suprema inglese, e ha spesso a che fare con problematiche alquanto spinose, in particolare riguardanti i diritti dei minori. La incontriamo, ad esempio, mentre è alle prese con la complessa decisione relativa alle sorti di due gemelli siamesi che debbono essere separati chirurgicamente. L’intervento, però, porterà come inevitabile conseguenza la morte di uno dei due bambini, motivo per cui i genitori, estremamente religiosi, si rifiutano di farlo eseguire. Per questo motivo, Fiona, chiamata sia in tribunale sia fuori da molti dei suoi collaboratori “My Lady”, è chiamata a deliberare a favore o contro la mozione portata avanti dalla madre e dal padre dei due piccoli, e in sostanza a scegliere al loro posto se far prevalere la logica della scienza a quella della morale o della religione.
Dilemmi di queste dimensioni sono pressoché una routine quotidiana per Fiona, talmente assorbita dal suo lavoro da tralasciare buona parte del resto della sua vita, in primis il suo matrimonio e il suo fortemente insoddisfatto marito. In uno dei tanti momenti in cui medita a casa, fuori orario, sulle difficili questioni lavorative, la sua dolce metà, Jack (Stanley Tucci) le comunica a bruciapelo che, essendo ben 11 mesi che non hanno rapporti intimi, lui ha deciso di concedersi una scappatella con la sua (ovviamente più giovane) assistente universitaria.
Senza il tempo neanche di riflettere sulla triste piega presa dal suo matrimonio, Fiona si ritrova immersa in un’altra serie di delicate dispute legali da redimere, tra cui una che attira in particolare la sua attenzione: un giovane diciassettenne testimone di Geova, sofferente di leucemia, che rischia la vita perché si rifiuta di ricevere la trasfusione di sangue che potrebbe garantirgli la sopravvivenza.
Il caso, già di per sé controverso – lui, figlio unico, i suoi genitori in aula, distrutti dal dolore ma fermi nella loro convinzione che mischiare il proprio sangue a quello di un estraneo sia contro il volere divino, i medici quasi indignati dal dovere combattere nel secondo millennio ancora con questo genere di credenze – lo diventa ancora di più quando lei ascolta le accorate parole del padre che descrivono la volontà del figlio di restare fedele alla sua religione al di là della sua stessa vita. E decide, con una procedura del tutto insolita e inaspettata, di andare a verificare di persona, a toccare con mano: visita lei stessa il malato, Adam (Fionn Whitehead), in ospedale. Parla con lui, gli pone domande, finisce con cantare insieme, mentre lui accompagna alla chitarra, un’ode di Yeats (“My Lady”, oltre che molto preparata e completamente dedita al proprio lavoro, è anche ottima cantante nonché virtuosa pianista). Insomma, stabilisce una connessione.
Dopodiché torna in aula, e decide secondo logica – cioè come avrebbe fatto, presumibilmente, pur senza aver conosciuto il ragazzo e pur senza aver stabilito con lui un legame emotivo. Il legame però, si è creato, e cambierà le vite di entrambi, più di quanto inizialmente chiunque possa pensare.
Un film dalle tematiche forti, che vuole e deve far riflettere
Non sono mai leggeri i romanzi di Ian McEwan, e i film tratti dai suoi libri non sono da meno. The Children Act – Il verdetto tocca una serie di argomenti sensibili, in particolare perché legati ai credo religiosi e alla libertà – o meno – di scegliere di morire. Il personaggio di Fiona Maye è interpretato con la consueta eleganza da Emma Thompson, ma anche con un’intensità che riesce a rendere vibrante un film per molti versi eccessivamente freddo e didascalico. “My Lady”, altera nella sua superiorità intellettuale e morale, rappresenta la certezza della logica, l’implacabile sicumera della scienza, quella deriva del progresso di matrice “illuminista” (per attitudine), che a volte più che illuminare corre il rischio di rendere miopi se non ciechi. Ma McEwan non arriva mai a prendere una posizione, a sostenere i limiti della sola ragione nei confronti di realtà destabilizzanti, antitetiche come religione, emozione, sentimenti. Si limita, come la sua protagonista, a sottolineare come queste possano turbare le precedenti sicurezze, che la sola logica tende a dare, quando vi ci si aggrappa.
I simbolismi al riguardo pullulano: la My Lady- Madonna che si immola all’applicazione della sola legge (“la legge mi ha consumato”, dice ad Adam, durante un loro incontro), ma il cui restar fedele esclusivamente alla ragione la rende, seppur giusta, distante, fredda (come la accusa il marito), sterile (come lei stessa ammette, con un filo di rammarico). L’illogicità della decisione di lasciarsi morire di un ragazzo che è solo all’inizio della sua vita la turba profondamente, interrogandola sulla giustezza dei suoi assiomi, in precedenza mai messi in discussione. Adam è il figlio che non ha avuto, ma è anche il teenager che ha salvato da morte certa e che le si attacca come uno stalker, con un interesse quasi morboso e non privo di connotazioni sessuali. È l’opposto del marito, che gli chiede rapporti intimi, mentre lui, il ragazzo, le invia poesie e le pone quesiti spirituali. Adam è il primo uomo, è l’unico figlio amato ma pronto ad essere lasciato andare in nome di una fede in qualcosa di superiore, che si pone davanti proprio a lei, che aveva lasciato andare la sua possibilità di essere madre e il suo matrimonio in nome di una eguale e opposta fede in qualcosa di altrettanto superiore. È l’eterno dilemma tra legge divina e legge umana, tra capacità, bisogno di comprendere e impossibilità di farlo, tra desiderio di rifiutare l’inevitabile e accettazione senza riserve del proprio destino.
The Children Act – Il verdetto apre la porta al dibattito, butta sul tavolo domande senza dare risposte, richiede una meditazione e una discussione successiva alla mera visione del film. Ciò che gli manca per lasciare davvero il segno è, quasi paradossalmente, ciò che manca alla vita della sua protagonista: maggiore emozione, maggiore lato umano. Minore razionalità, minore dissertazione, minore aspetti esclusivamente didascalici. Ciò che non fa decollare il film è proprio questo rimanere un po’ troppo sul piano della disquisizione filosofica fine a se stessa – anche il personaggio del ragazzo, che dovrebbe rappresentare quell’opposto della logica che destabilizza le sicurezze di Fiona, è in realtà eccessivamente mentale, verboso, non completamente credibile come teenager redivivo, e francamente inquietante come potenziale stalker.
Bilancio finale di The children act – Il verdetto
Emma Thompson non delude, come sempre; il film ha il merito di stimolare il dibattito su temi difficili e spesso trascurati, soprattutto nel recente cinema, maggiormente volto all’intrattenimento che allo spunto di riflessione. Rimane però troppo esposizione di intenti, poco ancorato nel reale, poco attento alla dinamica tra le persone e troppo all’enunciazione dell’assunto che vuole dimostrare. Troppo libro e poco film, in pratica.