Fine del mondo. L’uomo, nel fallace tentativo di arginare il global warming, ha provocato l’ultima definitiva glaciazione. L’umanità superstite è costretta su un treno, lo Snowpiercer, a moto incessante e a guida autoritaria. Conflitto di classe come conflitto di classi, tra chi viaggia in prima e comanda da par suo, e chi viaggia in ultima e ne subisce l’oppressione.
Snowpiercer… E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite…
Che il treno sia il cinema, dai fratelli Lumiere ad oggi, è ovvio. Che il treno però sia il cinema anche domani, è sorprendente. Qui, per la prima volta tra tutti i futuri già visti, il treno è non luogo per la sopravvivenza dell’umanità. Sì che alcuni segnali ferroviari erano già accesi, se pensiamo a Source Code di Duncan Jones, al pugnace Wolverine di Mangold artigliato allo Shinkansen, al Lone Ranger di Verbinski persino. Bong Joon-ho riceve, elabora e, con l’aiuto dell’immancabile graphic novel, costruisce la sua personale distopia, futurista piuttosto che futuribile. Il treno è infatti materia steampunk, rotaia ferro olio e vapore; nel vecchio modernissimo convoglio, i nostri eroi sono vestiti di cenci come operai di inizio 900, sordide e sovraffollate le cuccette ove alloggiano, bisunte e freddissime le pareti che li contengono. Il capotreno è il misterioso sig. Wilford, macchinista unico perciò duce, il cui potere marziale promana attraverso i soliti sanguinari militi ed una pletora di kapò e subkapò agghindati in SS style – menzione d’onore per l’incredibile Tilda Swinton nel ruolo di Mason, sadica gerarca con le sembianze e le movenze di una creatura di Miyazaki. Nella genesi di questo futuro, Cuore di tenebra incontra Metropolis in monodimensione: il treno è il fiume, Kurtz è Wilford, ma se Fritz Lang sviluppava in altezza il concetto di lotta di classe, immaginando che le differenze sociali si traducessero in differenti livelli di altezza, Bong Joon-ho sviluppa un conflitto orizzontale a doppio movimento, perché la rivoluzione capeggiata da Edgar e da Namgoong, l’uomo-grimaldello, si muove all’unisono con il moto incessante del treno sui binari.
Ma un’ altra grande forza spiegava allora le sue ali
parole che dicevano “gli uomini son tutti uguali”
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria e illuminava l’ aria
la fiaccola dell’ anarchia,
la fiaccola dell’ anarchia,
la fiaccola dell’ anarchia…
Gli eroici proletari devono lottare per conquistare il treno, vagone dopo vagone, carrozza dopo carrozza: la forza d’urto della ribellione implode claustrofobicamente nel contenitore vettiore e sviluppa scenari meravigliosi e in progresso cangianti. La risalita ha infatti connotazione spaziale, ma il dinamismo del non luogo ove avviene le conferisce connotazione temporale e sociale: si passa dalle cucine dell’orrido pasto riservato agli Ultimi (patè di blatta, of course), ai serbatoi dell’acqua, si accede poi alle successive dimensioni dell’esclusività, dal kindergarten ariano alle terme, dal ristorante giapponese dall’acquario al bagno turco, attraverso il lounge disco club privè fino ad arrivare all’ultima porta, dietro cui si cela l’Uomo dela locomotiva, all’apice del suo potere e della sua solituidine.
E intanto corre corre corre sempre più forte
e corre corre corre corre verso la morte
e niente ormai può trattenere l’ immensa forza distruttrice,
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
della grande consolatrice,
della grande consolatrice,
della grande consolatrice…
Bong Joon-ho abbaglia e fa quello che sa, cioè grandissimo cinema: nel contesto, meraviglioso è lo scontro all’arma bianca tra i nostri e la crudelissima milizia incappucciata, e Kubrick viene financo sormontato nel suddetto Kindergarten, quando con macchina da presa ad alzo zero si inquadra l’incedere coloratissimo di un’allucinata educatrice gravida, prima che le armi da fuoco intonino il massacro. Il delirio avvince, la credulità è sospesa, poi, a un passo dalla vittoria, il colpo di genio definitivo, la scelta tra il dentro il treno e il fuori dal treno. Perché la rivoluzione vera, nel futuro e per sempre, non è nella sovversione del sistema dall’interno, chè siamo tutti comlici perchè consapevoli, ma nella distruzione del sistema, nel rifiuto stesso dell’ontologia del sistema. Così, come nell’incredibile finale di The Host, un bimbo sarà estratto dal grembo del mostro (qui meccanico), e il rinato e la nuova madre esorbiteranno, pronti ad incominciare un nuovo viaggio, verso l’eterno immutevole.
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
mentre fa correr via la macchina a vapore
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva, come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia!