Dopo un’anteprima mondiale affollatissima al SXSW – South by Southwest Film Festival, arriva dal 28 marzo nei cinema Ready Player One, la nuova fatica di Steven Spielberg.
Il film (anzi, “movie”, ‘che i film sono quelli in pellicola, preciserebbe Steven) è molto atteso, in particolare dai fan, oltre che di Spielberg, dei videogames anni ’80 e ’90, e in generale della pop culture di quegli stessi anni. Ready Player One, infatti, è tratto dal libro omonimo di Ernest Cline (co-sceneggiatore), bestseller del 2011 divenuto in poco tempo una specie di bibbia per geek, nerd e trenta-quarantenni in vena di revival.
Ready Player One
Anno 2045. Siamo a Columbus, Ohio, ma potremmo essere ovunque. Come ci informa subito il protagonista, Wade Watts (Tye Sheridan), in questo futuro prossimo “reality is a bummer”, la realtà fa schifo, motivo per cui tutti si rifugiano nell’OASIS, un universo virtuale creato dal genio nerd James Halliday (Mark Rylance).
Nell’OASIS ognuno può fare ciò che vuole, essere chi vuole, e andare dove vuole: da scalare una montagna a fianco a Batman ad avere il corpo di Lara Croft come avatar, ad utilizzare la DeLorean di Ritorno al Futuro per sfrecciare in una corsa automobilistica, come fa appunto l’alter-ego virtuale di Wade, Parzival. L’immersione nella VR – Virtual Reality è talmente gratificante che in ogni casa, anche nelle baracche dello Slack dove vive il protagonista, ci sono persone connesse, che dimenticano tutto ciò che le circonda – dalla pentola sul fuoco al bambino che piange disperato al lavoro da fare.
Alla sua morte il creatore dell’OASIS vi ha nascosto 3 Easter Egg che, come le uova pasquali nella tradizione anglosassone (e i contenuti occultati in alcuni videogiochi), vanno trovate decifrando una serie di indizi, per impadronirsi di 3 chiavi e vincere il gioco finale. In palio, diventare il nuovo padrone dell’OASIS.
La trovata scatena una corsa pari a quella che si verificherebbe se, risolvendo una caccia al tesoro, si potesse divenire i padroni assoluti di Apple, o affini: chiunque vuole partecipare e tentare la fortuna. Tra questi, anche la società del cattivone di turno, Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), che vuole appropriarsi delle immense possibilità che il controllo dell’OASIS gli darebbe.
Wade/Parzival viene ben presto affiancato da Samantha/Art3mis (Olivia Cooke), la ribelle a capo della Resistenza, da Aech (Lena Waithe), l’amico del cuore e da altri due incontrati prima nel mondo virtuale e solo in seconda battuta in quello reale. Insieme come team – gli High-5 – si impegneranno a sbaragliare la concorrenza sempre più sleale di Sorrento per tentare di risolvere gli enigmi ed aggiudicarsi il premio finale.
Ready Player One, il “movie” sulla realtà virtuale girato con la realtà virtuale
Spielberg ha dichiarato che, mentre per i film alla The Post cerca di mantenere uno sguardo distaccato ed obiettivo nei confronti del suo lavoro, questo è quel genere di “movie” in cui si immedesima lui stesso nello spettatore, immaginandosi di sedere al suo fianco mentre lo guarda. Pensato per essere visto sul “grande schermo”, giusto per continuare ad alimentare la sua recente polemica contro Netflix, Ready Player One è realizzato in buona parte grazie alla motion capture, e farcito di una massiccia dose di CGI (computer-generated imagery, immagini generate al computer).
Poiché per la maggior parte del tempo gli attori dovevano recitare nel vuoto assoluto del set digitale, il regista stesso indossava il casco virtuale (e a volte lo faceva indossare agli attori) per rendersi conto di ciò che sarebbe stato ricostruito al computer intorno a loro a posteriori e poterli così indirizzare nei loro movimenti.
A livello di resa tecnica, il risultato è strabiliante: i dettagli, la ricchezza ed il realismo del caleidoscopico mondo dell’OASIS sono incredibili – considerando, tra l’altro, che il film si svolge nell’universo virtuale per un tempo maggiore che in quello “vero”.
Quest’ultimo risulta alla fine alquanto deludente, contraddicendo quindi quella che potrebbe sembrare a prima vista (in questo caso, visione) l’ovvia morale del film, cioè che la realtà sia sempre meglio del virtuale. Il mondo reale è un agglomerato indistinto di rottami, dai colori smorti ed opachi, esteticamente somigliante agli universi futuristici alla Luc Besson, con la presenza di qualche drone, che francamente ci mette pure non poco tempo a rintracciare il fatiscente e riconoscibilissimo furgone in cui i nostri “fantastici 5” si nascondono – senza impegnarsi troppo a fondo nell’impresa, vien da dire.
L’OASIS, il Paradiso degli amanti della citazione
La Virtual Reality di Ready Player One, dal canto suo, non deluderà sicuramente i fanatici della “caccia al riferimento”, attività entrata in auge grazie a film come Matrix e mai caduta in disuso.
Le citazioni più evidenti, che riescono a cogliere anche i non-professionisti del settore, sono, per fare qualche esempio, la già ricordata DeLorean con cui Parzival partecipa alla corsa che gli vale il recupero della prima chiave. Nella stessa gara si riescono ad intravedere allineati il van dell’A-Team, l’Interceptor di Mad Max e la moto di Akira, nonché – come ostacoli per i partecipanti – un agguerritissimo e arrabbiato King Kong e un simpatico T-Rex uscito dritto da Jurassic Park (unico rimando a Spielberg dei molti presenti nel libro, eliminati per evitare l’auto-incensamento dal regista).
Lara Croft si aggira più volte, in gara, al bar, nella battaglia finale. Il Gigante di Ferro non può passare inosservato, così come a molti non sfuggirà Chucky, della Bambola Assassina.
Vari altri omaggi possono rimanere più celati, come il “Cubo di Zemeckis”, in onore non solo di un collega regista per altro scoperto dal buon Steven, ma anche del precursore della tecnica della motion capture, senza di cui Ready Player One non avrebbe visto la luce. Anche il Sacro Graal, riferimento al film dei Monty Python del ’75, potrebbe sfuggire agli spettatori non troppo ferrati in materia pop culture, mentre non può passare inosservata la citazione di Kubrick, che in realtà è un vero e proprio tributo al grande regista, in un momento del film veramente spettacolare ed altamente adrenalinico.
I punti deboli di Ready Player One
Se dal punto di vista tecnico è ineccepibile, e il passaggio dall’animazione digitale al “filmato” reale è estremamente fluido, alcuni aspetti del film di Spielberg non convincono appieno.
Pur se il regista ha dichiarato che non bisogna essere un accanito giocatore di videogames per apprezzarlo, è indubbio che la maggior parte dei riferimenti che fanno rumoreggiare gli spettatori in sala sono comprensibili solo ai veri appassionati del settore. Gli altri, diciamocelo, si perdono una buona parte del divertimento (capire a cosa ci si stia riferendo).
Il mondo virtuale è, peraltro, fin troppo denso, sovraccarico di dettagli, risulta quasi strabordante, con un effetto al limite dello stordimento: i trenta-quarantenni coglieranno anche le citazioni, ma l’aspetto visivo è più simile ai videogiochi ultima generazione, e nell’insieme forse un filo troppo caotico.
I personaggi non sono particolarmente delineati, e risultano quasi meno significativi nel mondo reale rispetto al loro alter-ego virtuale. A parte eroe ed antieroe – Wade/Parzival e Sorrento – tutti gli altri sono poco più che veloci accenni, tocchi di colore, di puro contorno.
Anche la storia d’amore tra Wade e Samantha pare un po’ forzata, quasi un “vinci il gioco e ottieni la ragazza”. Tra l’altro, come spesso capita in Ready Player One, ancora una volta gli scambi più rilevanti tra i due avvengono all’interno dell’OASIS, più che nella “realtà”.
Al punto che viene da chiedersi se il contrasto dipinto da Spielberg non sia quello tra reale e virtuale, ma piuttosto quello tra possibilità di utilizzare liberamente l’immaginazione (il vero messaggio – SPOILER ALERT – è che l’importante non è vincere il gioco, ma divertirsi a giocare) e tentativo delle major di impossessarsi del potere creativo di quell’immaginazione per i consueti e beceri scopi puramente lucrativi. Si fa finta di parlare di videogames e Virtual Reality, ma in verità il vero soggetto è il Cinema. E allora tutto ha più senso.
Bilancio finale
Non adatto a tutte le generazioni, val la pena, se si può, di vederlo in 3D. E più volte, se si aspira a vincere il premio “quanti riferimenti ho colto”. Premio, manco a dirlo, puramente virtuale.