Quello che so sull’amore, continua la parabola discendente di Muccino

di Igor Riccelli

George Dryer (Gerard Butler) è un ex calciatore di successo e fama internazionale, con una ex-moglie e un bambino piccolo che non vede da 6 anni. Tornato a vivere in prossimità della famiglia, cercherà di recuperare i rapporti con il figlio e di rimettere in sesto la sua vita, ma le circostanze non saranno così semplici, complici le madri dei ragazzini di cui è allenatore e la sua anima da playboy consumato.

Continua la parabola discendente del nostrano regista trapiantato a Hollywood dopo Sette anime, decisamente di un livello superiore. Muccino torna ad indagare il rapporto padre-figlio dopo La ricerca della felicità, con l’intento di dar vita a una commedia brillante, intimista e che al contempo racchiuda una vena (melo)drammatica. Il risultato è indubbiamente deludente.

Gabriele Muccino ha a disposizione un cast assolutamente stellare, che solo raramente riesce a sfruttare pienamente: Gerard Butler, il più positivo, Jessica Biel, emozionata ma ingessata, Catherine Zeta-Jones, colpita da un crollo strutturale non indifferente, Uma Thurman, a cui è affidata una particina senza particolari climax emozionali e un Dennis Quaid che non riesce a sfuggire a una sceneggiatura povera, che condanna il suo personaggio a un’avara macchietta briatoresca.

Il campo verde, ovvia metafora di quella vita che sembra aver voltato le spalle al protagonista, si trasforma in un’arena di fraintendimenti e semplificazioni che, anche al più recente appassionato di calcio, suonano come macroscopici errori. Il linguaggio eccessivamente enfatico e artefatto dei telecronisti e dei giornalisti sportivi non contribuisce in alcun modo alla partecipazione empatica dello spettatore. Per non parlare della sequenza iniziale, in cui vengono presentate immagini che, pur essendo di repertorio, ci restituiscono il faccione di Gerard Butler sul corpo di veri giocatori attraverso dei (fortunamente ben riusciti) fotomontaggi.

L’impianto del film è assolutamente classico: nessun problema di comprensione, nessun colpo di scena repentino, nessun salto temporale, ogni elemento sonoro a suggerire l’emozione opportuna a chi guarda. Una pellicola adatta ai deboli di cuore, per intenderci. La sceneggiatura, soprattutto per i personaggi secondari, è scritta con la mano sinistra e piena zeppa di stereotipi: il padre manager, il povero Dennis Quaid, che sventola dei soldi in faccia ai bambini per fargli fare gol e che, ipergeloso, si lancia in un’imbarazzante (esteticamente) rissa sul finale con Gerard Butler.

Il protagonista la personificazione dello stereotipo: padre assenteista e immaturo, ex calciatore sciupafemmine pieno di soldi, e ora ridotto sul lastrico, che tenta di recuperare il rapporto con figlio e moglie. “Quanti bambini conosci che vanno alla partita? E quanti che guidano una Ferrari”: neanche la passione per le grosse cilindrate hanno lasciato fuori. E il tentativo, più che ovvio, è quello di far immedesimare lo spettatore con lui – tombeur de femme e inaffidabile – mentre il nuovo compagno di Jessica Biel – premuroso, rispettabile e con un lavoro – finisce per risultare un po’ noioso, troppo normale e onesto per essere il prescelto. Esportiamo retorica made in Italy insomma.

Oltre a non esserci profondità di sguardo, Quello che so sull’amore utilizza svariati registri, passa dal melodramma al film drammatico, al comico-grottesco, senza mai amalgare i diversi stili o prendere una direzione univoca. Per concludere, il finale si rivela di una prevedibilità disarmante. Non c’è nemmeno la possibilità di spoilerare qualcosa: l’elemento più sorprendente è che non ci sia nulla di sorprendente. Tutto è esattamente come ve lo aspettavate (e speravate non fosse) prima dell’inizio della proiezione.

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  1. topomicio

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