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Pitza e datteri di Fariborz Kamkari. Venezia, protagonista di una commedia multietnica

Pitza e datteri, di  Fariborz Kamkari, in uscita il 28 maggio 2015 ha il pregio di riportare sul grande schermo gli sfondi di una splendida Venezia con una commedia leggera che lascia perplessi.

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Ppitza e datteri

Pitza e datteri

di Sara Sonia Acquaviva @Percorsi Up Arte

La comunità musulmana di Venezia si ritrova improvvisamente senza un posto in cui pregare, sfrattata da una giovane e avvenente parrucchiera franco-africana (Maud Buquet) che trasforma la loro moschea in un salone di bellezza unisex. Dopo numerosi tentativi di riappropiarsi del loro luogo di culto, il presidente della comunità Karim (il pakistano Hassani Shapi) decide di chiedere aiuto al loro Imam per trovare una soluzione e cacciare finalmente Zara.

Una commedia sull’integrazione multiculturale in cui spiccano Bepi, un veneziano convertitosi all’Islam (il friulano Giuseppe Battiston), il giovanissimo Imam Saladino (Mehdi Meskar, calabrese-magrebino-parigino cresciuto a Treviso), la splendida parrucchiera Zara, il presidente della comunità Karim, la musulmana progressista Fatima (l’italo-africana Esther Elisha) e il curdo Ala (il siciliano Giovanni Martorana).

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L’attrice Esther Elisha in Pitza e datteri

Venezia e l’integrazione

Quale città migliore di Venezia, storico incrocio tra Oriente e Occidente, per raccontare Pitza e datteri, una storia di integrazione e multiculturalità nell’Italia dei giorni nostri. Sull’acqua e tra le torri come minareti, cupole e preziosi mosaici, echeggiano i suoni multietnici dell’Orchestra di Piazza Vittorio che accompagnano e danno ritmo ad una commedia che purtroppo pecca di troppi punti morti.

L’idea di Pitza e datteri è originale e l’ambientazione naturalmente spettacolare, eppure Fariborz Kamkari non riesce a dare alla sua storia il ritmo giusto per accompagnare e divertire lo spettatore fino alla fine. Interessante la scelta degli attori, dell’Orchestra e della troupe che rende l’idea di reale multiculturalità anche sul set.

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L’attore Giuseppe Battiston in Pitza e datteri

Malgrado lo sforzo di far ridere però le battute risultano troppo “diluite” per stare al passo con i tempi comici che una storia come questa richiederebbe. Forse rapito dalla bellezza della città il regista si sofferma esageratamente a lungo sulle inquadrature dedicate al paesaggio che risultano piatte e puramente “illustrative”. La sceneggiatura in alcuni punti osa troppo, scrivendo dialoghi poco credibili, nel pensiero e nei fatti, perché lo spettatore possa affezionarsi ad uno o più personaggi e continuare a seguire le loro vicende.

In Pitza e datteri si vorrebbero dire tante cose, dalla scelta di un’altra religione da parte di un italiano che poi si rivela semplicemente un mitomane con carenze affettive da parte di un padre altrettanto bizzarro, alle conseguenze devastanti di una crisi che gli toglie la “casa di famiglia”, alla difficoltà di una comunità di diverso culto di trovare un posto che gli permetta di pregare, all’amore (appena accennato e forse fin troppo superficiale che colpisce i protagonisti), fino a parlare dell’assurdità dell’estremismo religiose e del divario generazionale tra padre musulmano e praticante e figlia italiana, cresciuta da italiana e che vuole sentirsi tale.

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L’attore Giuseppe Battiston in Pitza e datteri

Tutto però viene solo accennato per poi morire quasi immediatamente con soluzioni banali che rendono il film eccessivamente superficiale e leggero. Sicuramente l’intento era ottimo, ma forse l’eccessiva ricerca di leggerezza e sdrammatizzazione di tematiche così importanti fanno inciampare il regista in un passo falso.

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