Il prossimo 28 Febbraio arriva nelle sale italiane l’ennesimo capitolo della saga di Latherface, maschera dell’horror nata nel 1974 per mano di Tob Hooper e giunta qui al suo settimo capitolo che decide di annullare tutti i precedenti ed essere sequel solo dell’originale. Arriva al cinema Non aprite quella porta 3D.
Trama
Qualche decennio dopo gli orribili avvenimenti del capitolo originale, Heather Miller (Alexandra Daddario; Percy Jackson e gli dei dell’olimpo, Libera uscita) scopre di aver ereditato un’enorme tenuta da una nonna che non sapeva di avere, in Texas.
Andrà sul luogo insieme al suo ragazzo ed un paio di amici per scoprire che l’apparente bellezza del luogo nasconde in realtà un grande segreto. Un segreto identificabile in due elementi: maschera di pelle e motosega.
Trailer del film:
Riepilogo
Forse è meglio fare un veloce riepilogo: nel 1974 Tob Hooper scriveva e dirigeva il primo capitolo di questa saga, intelligente nella fotografia, nella messa in scena, nel montaggio ma soprattutto nelle scelte registiche che elevarono questo “cattivo” come il più realistico e psicologicamente disturbante (emblematica la scena della cena di famiglia) rispetto ai colleghi Freddy e Jason. Forte dell’immenso successo, solo nel 1986 Hooper deciderà di riprendere in mano la regia del secondo capitolo in cui il budget più alto la vince su una sceneggiatura povera che riprende gli aspetti migliori del primo capitolo e fa sorridere fin troppo spesso in momenti in cui dovrebbe invece incutere timore.
Malgrado le critiche, il successo è fuori discussione e nel 1990 arriva il terzo capitolo, senza Hooper alla regia ma con un’improbabile Viggo Montersen tra i protagonisti: stavolta si tratta di un reboot della saga, visto che nel capitolo precedente Jed (Latherface) sembra essere morto. Nel 1994 arriva il peggior capitolo della serie, a metà tra un sequel ed un remake, con degli ancor più improbabili protagonisti: Renèe Zellweger e Matthew McConaughey. Stavolta il risultato è disastroso. Toccherà a Marcus Nispel nel 2003 far ripartire la saga con un nuovo remake che ancora una volta non convince molto: il paragone con l’originale è impossibile. Malgrado ciò, nel 2006 Michael Bay decide di produrre un nuovo capitolo, prequel dell’originale del 1974: come Jed è diventato Latherface.
L’attesa c’è ma stavolta il pubblico non risponde positivamente al film e la critica è divisa tra chi lo giudica come un’ottima strada che porta direttamente al primo capitolo di Hooper e chi lo giudica pessimo, inguardabile, indigeribile. Eppure, malgrado tutto ciò, arriva adesso questo settimo capitolo, diretto seguito del primo che guarda con rispetto e tenta di seguirne gli aspetti geniali. Senza però riuscirci.
3D e sangue
L’idea di partenza alla base di questo ennesimo capitolo non era male: si decide di inserire un legame di sangue tra il mostro e la sua vittima: come reagirà? Cosa accadrà? I titoli di testa che richiamano l’originale piacciono e l’incipit è intrigante oltre ad una protagonista, Alexandra Daddario, che buca davvero lo schermo e due cammei d’eccezione del primo Latherface e la prima sopravvissuta (rispettivamente Gunnar Milton Hansen e Marilyn Burns).
Poco dopo, però, si ci accorge che i dialoghi sono indigeribili, che tutti i personaggi sono fin troppo stereotipati, che il regista si preoccupa più di fare delle inquadrature finalizzate al 3D e al lato B di Nikki (l’amica della protagonista, interpretata da Tania Raymonde) piuttosto che ricercare nuove prospettive di ripresa e di montaggio per le atrocità che commette l’ingenuo bambinone con la motosega. Quando poi la prevedibilità prende il sopravvento e si vuol far passare Latherface come un moderno Frankenstein, allora tutto diventa chiaro. E anche questo capitolo diventa un flop di contenuti insostenibile.
Oggi come oggi l’immagine conta più del contenuto al cinema fin troppo spesso, purtroppo si sa, ma se si vuole inserire del contenuto ricco di lacune ed inconsistenze è forse meglio lasciare che “parlino” solo le immagini e che si paghi un biglietto al cinema consci di ciò a cui si va incontro. Perché così è sleale e questo conferma, ancora una volta, di come questa saga si sia fermata (per originalità e brillantezza visiva) al secondo episodio. Il resto è nulla o poco più.