Noah: Cambio di rotta all’origine dei tempi

Dopo tanto parlare, discussioni, dibattiti, alla fine esce al cinema un nuovo, colossale, adattamento cinematografico sulle gesta narrate nella Bibbia di Noè e la sua arca. A dirigere tale impresa Darren Aronofsky, dopo i successi di “The Wrestler” e “Il cigno nero” nella sua prima vera grossa impresa commerciale di chiaro stampo hollywoodiano e con un cast di prim’ordine: arriva in sala, anche in 3D, Noah.

Trama

La storia narra delle gesta di Noè narrata nella Genesi inclusa nell’antico testamento della Bibbia. Noah (Russell Crowe; Man of Steel, Storie d’Inverno) ha una visione divina di un imminente diluvio apocalittico che porrà fine all’umanità e insieme alla sua famiglia inizia la progettazione di un’arca per salvare le specie animali esistenti sulla terra.

Trailer del film:

Ai confini dell’apocalisse

Nella Bibbia, dal capito 5 al capitolo 9 della Genesi troviamo raccontata la storia di Noè. Si tratta di descrizioni fin troppo ermetiche, di particolari non raccontati e di un uomo non poi così approfondito nelle motivazioni che lo spingono a tale atto e in ciò che affronterà poi nel “Nuovo mondo”. Ma da questo poco il regista Darren Aronofsky riesce a creare un’opera volutamente (e fin troppo) titanica di due ore e quindici minuti, spalleggiandosi sempre più o meno fedelmente con il testo d’origine ma arricchendo come un puzzle tutto ciò che può aiutare a rendere più umano e vicino l’uomo Noè e le azioni che dovrà compiere.

Si tratta di una storia familiare, intima innestata all’interno di una componente inevitabilmente fantasy dove ci potrebbe risultare “esagerato” l’arrivo del nonno Matusalemme (sir Anthony Hopkins) con particolari poteri curativi o la guerra alla sopravvivenza in pieno stile “Signore degli anelli”, per non parlare di tutte quelle frasi edulcorate e volutamente “pompate” tipicamente e facilmente di stampo americano, se non proprio hollywoodiano. Ma il regista riesce furbamente a distanziarsi sempre dalla posizione di credente e non credente, tra chi cioè può leggere questo racconto come un forte atto di fede o chi lo osserva come mero tentativo di fantasy da kolossal.

Se Darren c’è

Il regista riesce a raccontare di entrambe le sfaccettature della faccenda, ad approfondire tutti i temi etici, morali, esistenziali, di fede non tanto verso un creatore al di sopra di tutto e tutti quanto nella fede in se stessi, nei propri principi e all’interno dell’equilibrio e delle leggi che vivono all’interno della famiglia, microcosmo che aiuta a raccontare del mondo. Molto buona la scelta del cast, oltre a Russel Crowe e Anthony Hopkins troviamo Jennifer Connelly nelle vesti della moglie, Emma Watson (l’ormai ex maghetta Hermione Granger) nei panni di Ila, personaggio chiave per la storia e per l’evoluzione del protagonista e Logan Lerman (ormai stanco Percy Jackson) nei panni di un figlio combattuto tra il dovere e il volere.

Nella monumentalità dell’arca, una delle costruzioni più grandi mai fatte a Hollywood, si ci potrebbe perdere e facilmente giudicare quest’opera come superficiale e lontana dallo stile del regista che invece, malgrado si trovi all’interno di un’operazione più facilmente commerciale e probabilmente su commissione, riesce a inserirsi con forza e a far sentire la sua presenza, se non in particolari inquadrature o scelte fotografiche (qui molto neutrali e prevedibili) nelle scelte di un approfondimento psicologico più o meno maturo che riesce ad intrattenere ed incuriosire. Lodevole, in ultimo, un budget non poi così alto (circa 125 milioni di dollari) per un’opera che assicurerà facilmente e ben presto il superamento di tale somma, grazie certo ad una furba (ma alquanto pessima e inutile) conversione in 3D dell’ultim’ora.

Alcune clip dal film

 

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