Torna al cinema il regista Ken Loach con Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e di libertà: una lotta popolare all’oscurantismo imposto dai poteri alti, sullo sfondo di splendidi paesaggi irlandesi.
Tra le tante commedie natalizie e pellicole animate, c’è spazio anche per pellicole un po’ più impegnate. E’ questo il caso di Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e di libertà, ultimo lavoro del cineasta inglese Ken Loach. Non solo ultimo temporalmente ma è probabile che possa essere anche l’ultimo capitolo della sua lunghissima filmografia, cominciata circa cinquant’anni fa.
Eventualmente “Ken realizzerà un doc o un film con un piccolo budget ma Jimmy’s Hall è la sua ultima grande produzione”, parole della sua produttrice Rebecca O’Brien. Siamo nuovamente di fronte ad un film storico come spesso Ken Loach ci ha abituati, difficile dimenticare l’appassionante Terra e libertà, uno dei suoi titoli più riusciti e amati.
Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e di libertà
Ci troviamo nel 1921, in Irlanda. Jimmy Gralton (Barry Ward) adibì un suo spazioso locale (la citata Hall del titolo) in un ritrovo pubblico. Dove chiunque potesse divertirsi e socializzare, tra le varie attività culturali che quotidianamente venivano proposte. Ciò che più rese popolare questo luogo furono le serate danzanti, con i trascinanti balli tipici irlandesi.
Ma nonostante il successo ottenuto, quasi tutto il paese ormai si ritrovava nel salone di Jimmy, a qualcuno questa iniziativa non andò giù. Fu la chiesa infatti, e i politici locali, a scorgere del pericolo in questo posto dove chiunque potesse ritrovarsi. Il timore del clero era quello di non poter più tenere sotto controllo le menti dei singoli individui, che così, fomentati da questo neonato fervore culturale, rischiavano di ragionare “addirittura” con la propria testa.
Jimmy, in definitiva, fu costretto a fuggire negli Stati Uniti e la sala, conseguentemente, a chiudere i battenti. Trascorrono dieci anni e il nostro protagonista ritorna nella sua terra, indirettamente richiamato dalla madre, ormai in labili condizioni di salute. E qui, nonostante il tanto tempo ormai trascorso, si accorgerà che poco è cambiato.
E le motivazioni che spinsero ad aprire allora il suo salone, ovvero quello di concedere una maggior linfa vitale ad una terra così arida di espressioni artistiche e culturali, sussistevano ancora. Perciò, spinto anche dall’entusiasmo dei giovani concittadini, la Hall di Jimmy vedrà nuova luce. Ma anche questa volta, le vecchie remore torneranno a galla.
Jimmy’s Hall di Ken Loach: il trailer
Una storia vera
La storia è ispirata alle vere vicende di James Gralton, leader politico irlandese che ottenne anche la cittadinanza americana. Cavillo grazie al quale riuscirono a espellerlo dall’Irlanda con l’accusa di essere un immigrato clandestino, senza un regolare processo. Dal punto di vista storico questo film può essere visto come una perfetta integrazione a Il vento che accarezza l’erba. Con il racconto di Gralton infatti si trattano gli stessi temi già affrontati nel titolo succitato, raccontati però dieci anni dopo.
Una descrizione di scontri e ingiustizie, sceneggiato con grande maestria da Ken Loach, che con Jimm’s Hall riesce ad appassionarci quasi meglio di un libro di storia.
“È una storia che contraddice l’idea di una sinistra cupa e deprimente, nemica del divertimento e della gioia di vivere, che dimostra come la religione organizzata tenda a coalizzarsi con il potere economico: lo ha fatto nel caso di Jimmy Gralton e continua a farlo”, afferma Loach, “Chiesa e Stato diventano agenti di oppressione”.
Un riflettore acceso sulle aspirazioni e lo scoramento della classe operaia, di una collettività ancora disposta a lottare per ciò che si ritiene essere giusto. Fondamentale il ballo e la musica nel riscatto popolare, che hanno coeso la comunità in un grido gioioso di libertà proprio come quell’irrefrenabile folk irlandese. E per le musiche, nessuna base è stata registrata ma tutto è stato suonato dal vivo.
Il motivo ce lo spiega direttamente il regista Ken Loach: “Perché devi vedere la fatica di chi suona. Sono cinquant’anni che lo facciamo nei nostri film, non è certo una novità! Oggi che altri due o tre registi cominciano a farlo, viene presentata come una tecnica rivoluzionaria. Se i musicisti non suonano davvero c’è sempre qualcosa di finto, di sfasato. Solo così puoi cogliere l’interazione tra i ballerini e i musicisti, altrimenti manca sempre qualcosa.”