The Grand Budapest Hotel, ultimo lavoro del regista Wes Anderson è stato presentato al 64° festival di Berlino e ha vinto il Gran premio della Giuria, e poi, in anteprima nazionale al Bif&st di Bari, accolto con entusiasmo dal pubblico barese.
Grand Budapest Hotel
Il film di Anderson racconta in apparenza la storia di un hotel, il Grand Budapest Hotel, situato nella fittizia località termale di Zubriwka, in Ungheria. In realtà il titolo è solo una metafora della società consumista europea interpretata da personaggi bizzarri e stravaganti. La storia si apre con il racconto-ricordo del vecchio “garzoncello” Zero Moustafa (Tony Revolori) e di come ha rilevato il medesimo hotel. L’hotel era gestito dal brillante e profumatissimo concierge Gustave (uno splendente Ralph Fiennes) , il quale amava accompagnarsi alle clienti dell’hotel, in particolar modo, con l’anziana signora Madame D. (Tilda Swinton). Quest’ultima alla sua morte gli lascia un prezioso quadro rinascimentale in eredità, Il ragazzo con la mela. Purtroppo il figlio dell’anziana signora, Dmitri (Adrien Brody) non è contento e accusa il povero concierge di aver ucciso la madre e lo costringe alla fuga.
Da qui inizia la storia di un uomo e del suo lavoro, la storia di un’amicizia, di un omicidio, di un quadro rubato e poi recuperato, di una violenta battaglia per un’enorme fortuna di famiglia e di una tenera storia d’amore. Il film è ambientato tra le due guerre ma c’è un salto temporale, nel presente l’hotel ha pochi clienti, tra cui il narratore (Jude Law) mentre una volta era frequentato dall’alta borghesia lussuosa. E così ci si ritrova nell’era della Belle époque per seguire le rocambolesche avventure di Gustave e Zero.
Nel film ci sono tutti gli elementi da sempre utilizzati dal regista: la divisione in capitoli, i personaggi che incarnano i vizi e le virtù dell’essere umano, che vengono rappresentati con colori sfavillanti e sgargianti. Un film grottesco potrei dire, nei costumi, nelle scelte delle location, nei brani e nei personaggi, un film fumettistico, una pellicola matura e ben riuscita, che convince lo spettatore e lo mette in discussione sul considerare Grand Budapest Hotel uno dei migliori film del regista. Inoltre la pellicola è ben scritta, divertente e ironica, con un ritmo incalzante; il regista passa con grande disinvoltura da un genere all’altro: prima commedia, poi noir, poi di nuovo commedia passando attraverso l’avventura.
Un mix di genere che fa leva sull’ironia dell’autore, basta vedere l’assurda e nello stesso tempo credibile fuga dal carcere. E poi ci sono tanti personaggi che si avvicendano tra loro, i quali non sono mai di troppo ma si inseriscono benissimo nella trama del film.
The Grand Budapest Hotel, direi, che è un film da non perdere sia per la verve ironica sia per l’eccellente fotografia, e infine, per la leggerezza con la quale è raccontato un periodo storico (le due guerre) difficile e crudo. Un film gradevole, divertente, ironico, piacevole.
È un commento mimetico della tessitura narrativa del film e del ritmo delle scene