E dopo aver recensito il film La famiglia Belier, ecco l’intervista al regista Eric Lartigau, in Italia per promuovere il suo film.
Eric Lartigau: intervista al regista de La famiglia Belier
di Sara Sonia Acquaviva @Percorsi Up Arte
Eric Lartigau, qual è il tema centrale del suo film?
Al contrario di quello che si può interpretare, il mio film non vuole parlare della condizione dei sordi, ma vuole esplorare la famiglia, che è il luogo dove nascono tutte le sensazioni primarie, le emozioni animali, e l’evoluzione dall’adolescenza all’età adulta, quel periodo in cui evolviamo, cresciamo e sviluppiamo una curiosità nei confronti della vita. Nel momento in cui mi è stata proposta la sceneggiatura de La famiglia Bélier, ero appunto alla fase iniziale di un progetto che desideravo scrivere da tempo, sulla famiglia.
Oltre gli apprezzamenti da parte del pubblico e della critica ha ricevuto qualche critica negativa, perché ?
Sono felice di aver ricevuto una maggioranza di critiche positive e il film è stato molto apprezzato dal pubblico francese. Abbiamo organizzato molte proiezioni in molte città all’interno delle sale cinematografiche attrezzate per i non udenti e tanti hanno amato e adorato il film. Devo dire che pochi hanno criticato negativamente, rammaricandosi per lo più del fatto che non ho scelto attori sordomuti per interpretare i ruoli di Rodolphe e Gigi. Ma a mio parere un film è un film, si tratta di finzione ed è fatto di volti, sensazioni e rapporti che si instaurano tra il personaggio, l’attore e il regista. Non chiamerei mai un poliziotto vero per interpretare il ruolo di un poliziotto a meno che questo non abbia proprio il volto e l’interpretazione che voglio.
Perché ha scelto di lavorare con Francois Damiens e Karin Viard? È stato difficile lavorare con loro e allo stesso tempo con Luca Gelberg, unico attore sordomuto?
Dal primo momento in cui ho letto la sceneggiatura ho pensato a Francois e Karin per il ruolo dei genitori. Era da tanto tempo che desideravo fare un film con questi due fantastici attori e il ruolo mi sembrava su misura per loro. È stato molto impegnativo per gli attori imparare la lingua dei segni, hanno impiegato circa 6 mesi lavorando 4 ore al giorno, un lavoro difficile ma che hanno affrontato con molta professionalità. Luca Gelberg invece è stata una vera rivelazione, io stesso non mi aspettavo che sarebbe stato così semplice, non era un attore ma durante le riprese mi ha confessato che coltivava questo sogno fin da piccolo e devo dire che era molto naturale davanti le telecamere. Mentre giravamo io parlavo più lentamente e lui leggeva perfettamente il labbiale. Era una specie di gioco tra noi due.
Molti dei film che affrontano l’argomento raccontano soprattutto il problema di avere questo handicap, in questo film invece, in una parte che fa un po’ sorridere, il problema è contrario, avere una figlia che sente e soprattutto, canta.. quando avete scelto di dare questo tipo di taglio, non avete pensato di “esagerare”? Secondo lei c’è veramente una sorta di “intolleranza” al contrario?
Si, credo corrisponda alla realtà, una terribile realtà ma la realtà. Conosco molte persone sorde e in loro c’è un grande risentimento per chi sente. Ed è molto destabilizzante per loro mettere al mondo un figlio udente.
Non è la prima volta che la cinematografia francese tocca un tema così delicato e ne fa una commedia, crede che il pubblico sia pronto a fare ironia su situazioni considerate “delicate” come queste?
Credo che si possa ridere anche di questi argomenti, perché ognuno di noi è diverso e questo film parla di differenze. A mio parere l’handicap non va subito ma si può vivere normalmente, la differenza va considerata come una forza e non come una cosa negativa da subire. Ho incontrato molti sordi e ho ammirato il coraggio enorme di cui si dotano per affrontare il nostro mondo. Soprattutto prima, quando le comunicazioni erano più complicate e risultava difficile farsi capire. Oggi con l’avvento di internet si può dire che c’è meno difficoltà e si può vivere una vita più “normale”.