È finalmente arrivato sui grandi schermi di tutta Europa Captain Marvel, il primo dei due film Marvel più attesi in assoluto della stagione (il secondo è, manco a dirlo, Avengers: End Game, il seguito del campione d’incassi planetario Infinity War).
Ma non è questo il suo unico primato: è anche il primo film dell’universo MCU (Marvel Comic Universe, traduzione per i non esperti) interamente dedicato ad una super-eroina. É il primo film diretto da una donna, Anna Boden (anche se affiancata da Ryan Fleck), scritto da donne (la regista stessa e la sceneggiatrice Geneva Robertson-Dworet), interpretato da una paladina dei diritti delle donne quale Brie Larson (che ha suscitato polemiche durante la promozione per avere espressamente chiesto che si facesse posto anche a giornaliste donne e di diverse etnie, invece che esclusivamente giornalisti maschi – e bianchi). È anche il primo film in cui sono gli uomini – da Samuel L. Jackson a Jude Law – ad avere un ruolo di contorno, rispetto al nutrito gruppo di altre donne presenti, oltre alla protagonista: Annette Bening, Lashana Lynch nel ruolo della migliore amica e Akira Akbar, in quello della bellissima “nipotina” undicenne, per citarne alcune.
Insieme a tutti questi record positivi, ce n’è uno più triste: Captain Marvel è pure il primo film uscito dalla morte di Stan Lee, lo stra-amato fondatore della Marvel stessa, nonché creatore della maggior parte dei personaggi che vi appartengono. Per rendergli omaggio, è stata montata una versione ad hoc dell’abituale sigla iniziale dei Marvel Studios, culminante con un commovente “THANK YOU STAN” a tutto schermo.
Captain Marvel
Ci troviamo in un ambiente iper-futuristico, che si rivela essere il pianeta Hala, patria del popolo dei Kree, descritti come “eroi guerrieri”. La protagonista, chiamata Vers (Brie Larson), si addestra con il suo mentore Yon-Rogg (Jude Law), che la rimprovera di non riuscire a tenere a bada le sue emozioni e di non essere ancora “pronta” per servire il grande fine dei Kree – apparentemente, cercare di fermare il popolo degli Skrull, mutaforma assetati di potere che si infiltrano nei vari pianeti delle galassie per meglio prepararsi a conquistarli.
Vers sembra avere delle reminiscenze della sua vita precedente, ma molto confuse. A colloquio con la Suprema Intelligenza, che prende le forme delle persone a cui più teniamo, in questo caso di una tal Dott.sa Lawson (Annette Bening), Vers viene inviata in missione per provare di essere finalmente degna di far parte della StarForce dei Kree. Ma la missione si scopre essere un’imboscata, lei viene catturata dagli Skrull, che paiono interessati più di quanto non lo sia lei (o i Kree) a mettere ordine nella confusione che regna nei suoi ricordi.
Prima che si arrivi ad un effettivo risultato, Vers riesce a liberarsi e a piombare (letteralmente) sul pianeta C-53 – che poi non è altro che la Terra. Per la precisione la Terra alla metà degli anni ’90, come emblematicamente rappresenta il mega Blockbuster dentro cui si schianta la fuggitiva.
L’entrata in scena non particolarmente silenziosa attira l’attenzione degli agenti dello S.H.I.E.L.D., nella fattispecie Nick Fury (Samuel L. Jackson) e Phil Coulson (Clark Gregg), all’epoca il primo ancora con due occhi e il secondo novellino completo – entrambi ringiovaniti digitalmente.
La storia di Vers, vestita con una tuta di lattice, che parla di alieni verdi mutaforma e che lancia raggi direttamente dalle mani lascia piuttosto perplessi i due agenti, pur abituati alle stranezze (ma non ancora del tutto, visto che siamo a PRIMA di ogni possibile incontro con super-eroi caduti dal cielo, contaminati da ragni radioattivi o creati da un miliardario genio, filantropo e anche un po’ playboy). Nel momento, però, in cui Fury si trova a fianco un duplicato di Coulson versione mutaforma verde, tutto diventa più credibile. Da lì in poi il futuro direttore dello S.H.I.E.L.D affiancherà Vers nella sua ricerca della verità, che è insieme ricerca della sua vera identità e comprensione di chi lei sia veramente.
Un cinecomics potente, divertente e con la musica degli anni ‘90
Per chi c’era, basta sentire la musica delle Hole, rivedere l’insegna Blockbuster e inorridire osservando Brie Larson annodarsi una camicia di flanella a quadri sui fianchi, perché l’emozione abbia la meglio e Captain Marvel sia promosso d’ufficio.
Intendiamoci: la promozione se la merita comunque, a pieno titolo. Perché è il classico prodotto Marvel, curato nel minimo dettaglio e frutto di una formula vincente, applicata alla lettera. Come una ricetta collaudata, che ormai non si mette più in questione: un tanto di azione, qualche pizzico di humor sparso qua e là, dei richiami all’universo Marvel allargato, per i fan della prima ora e gli ossessionati della continuity, una colonna sonora ben scelta e degli effetti speciali talmente realistici da non notarsi neanche più, et voilà, il gioco è fatto. Anche questa volta gli elementi ci sono tutti, e tutti ben dosati.
C’è l’inseguimento mozzafiato in auto/moto/treno, con tanto di modelli di vetture ormai passati, che un po’ di sana nostalgia non fa mai male.
Ci sono le classiche strizzatine d’occhio agli appassionati del genere, che spesso erano anche lettori delle versioni su carta delle avventure dei super-eroi: a iniziare dal tributo strappalacrime prima ancora dell’inizio del film, con le varie foto d’epoca di Stan Lee, giovane e sorridente, che scorrono tra i caratteri della scritta Marvel, dove di solito si vedono le immagini di tutti gli eroi da lui creati. E il ringraziamento, granitico, a tutto schermo, per chi ha fatto sognare bambini ragazzi e gli adulti mai cresciuti che buona parte di noi continua ad essere. Per poi continuare, sempre sull’onda dell’emozione, con il consueto cameo che Stan Lee ha sempre fatto nei vari film degli studios e che, in questo caso (ma pare anche in parecchi prossimi, avendoli girati in anticipo), viene visto postumo.
Ventunesimo film dell’universo MCU ma primo ad essere ambientato negli anni precedenti, quando ancora nulla era capitato, quasi fosse un prequel, Captain Marvel ci regala anche una serie di “chicche” che i fan del mondo Marvel in sala non possono fare a meno di commentare con sonori sospiri o fragorosi cenni di assenso: come quando Fury pronuncia male il nome di una Kree (non specifichiamo quale, ‘che lo spoiler in questo genere di film è peccato mortale) e, per giustificarsi, afferma che in fondo Marvel suona meglio di Marr- Vell, come si chiamava. O come quando sempre lui, Fury, trova ispirazione per il nome del suo progetto di protezione della Terra dagli alieni nella scritta sull’aereo del capitano Danvers. E indovinate un po’ qual era il nome in quella scritta? Sì, proprio quello: Avengers. E che dire del momento in cui il gattino Goose, star indiscussa e non-plus-ultra dei gatti per cui il web impazzisce, graffia senza un perché l’occhio di Fury (sempre lui, d’altronde è ben il trait d’union di tutti i vari film successivi dei “Vendicatori”). Facendo così infine comprendere come ha fatto a perderlo, lui che da sempre abbiamo visto con un occhio bendato.
Ci sono – ormai non possono più mancare – svariati momenti divertenti, battute serrate di norma tra Vers/Brie Larson e – sempre e ancora lui – Fury/Samuel L. Jackson, ma non solo, così da tener fede a quell’atmosfera leggera e scanzonata che caratterizza i prodotti Marvel rispetto, ad esempio, ai più “seriosi” (almeno fino alla recente svolta, vedi Aquaman) dei diretti antagonisti, i cinecomics DC. E c’è anche l’aspetto “epico”, anch’esso inevitabile, in particolare quando si tratta del primo “stand-alone” (in gergo, il primo film interamente dedicato ad un super-eroe – o super-eroina, come in questo caso) al femminile.
L’aspetto epico di Captain Marvel è strettamente legato proprio a questo, all’essere il primo film della prima super-eroina Marvel che ha un film tutto per sé. Un film in cui – inevitabilmente – sottolinea le sue caratteristiche di donna, il suo esserlo in pieno post #metoo, in questo particolare momento storico dove – almeno al cinema – il Girl Power, il potere alle donne che cantavano, guarda la coincidenza, proprio negli anni ’90 le Spice Girls, sembra esser divenuto realtà. Perché, alla fine, Captain Marvel non è solo la prima, tra gli eroi Marvel; quella che in qualche modo dà il via allo stesso progetto Avengers. Lei è anche la più potente, la più forte in assoluto.
Da dove trae la sua forza? Proprio da ciò che i Kree, e in particolare il suo mentore Jude Law, volevano farle cambiare: dalla sua storia, dal legame con il suo passato, dalle sue emozioni. Dalle sue scelte non sempre coerenti e dalla sua confusione. Dai suoi sbagli, da tutte le volte in cui è caduta e si è – nonostante tutto e in barba a tutte le previsioni – saputa e voluta rialzare. In pratica, dal suo essere umana, molto umana.
Il suo momento migliore, in quanto donna, è quando, confrontandosi con quello che era il suo mentore/giudice uomo, che con condiscendenza aveva affermato di voler che lei diventasse “la miglior versione di sé stessa”, gli risponde – a lui che insiste a chiederle di “provargli” la sua forza – che non ha niente da provargli. E lo attacca al muro con un raggio di energia da far scattare la ola in sala.
Bilancio finale di Captain Marvel
Per gli amanti del genere, bello. Per le bambine e ragazze amanti del genere, stimolante e fonte d’ispirazione (finalmente anche loro possono avere il loro “super” di riferimento, senza per forza dover identificarsi con una principessa/dea/amazzone come Wonder Woman). Per chi non aspetta altro – e solo – di capire come sarà il seguito di Infinity War e se Thanos verrà sconfitto: non andatevene prima dell’ultimissimo titolo di cosa, gli after credits fanno intuire che il ruolo di Captain Marvel non sarà, anche in questo frangente, marginale.