Bollywood? E’ in California, nel film “My Name Is Khan”

E’ una delle opere più belle che abbia visto negli ultimi tempi, ma credo che bisognerà attendere parecchio per la sua distribuzione in Europa e in Italia (se mai ci sarà).  Consiglio vivamente di recuperarlo in rete.

My Name Is Khan è il nuovo film di Karan Johar.

Per maggiori dettagli, scopri di seguito la recensione di questo film.

Non che io sappia molto di Karan Johar, a parte quello che ne ho letto nella scheda di wikipedia su Karan Johar; come del resto conosco ben pochi registi di Bollywood: questo mondo resta per molti non-indiani una simpatica ed esotica curiosità, e io stesso non ho mai avuto gran voglia di approfondirla.

My Name Is Khan, però, è tutt’altra questione: qui l’incrocio tra il melodramma “all’indiana” con un approccio da cinema indipendente americano crea un risultato imprevedibile: non dico che sono rimasto sconvolto, ma poco ci manca.

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I tanti livelli di lettura in “My Name Is Khan”

La quantità di strati su cui si articola il film, infatti, è roba da far girare la testa.

In cima c’è un’opera popolare, che si può guardare come fosse un qualsiasi sceneggiato televisivo (ma molto meno noioso delle principesse Sissi nostrane): la storia di un giovane indiano che raggiunge il fratello in California, a San Francisco, e dal nulla costruisce il suo personale “sogno americano”.

Ma, praticamente da subito, il film non è solo questo.

Il protagonista (che si chiama appunto Khan) è infatti portatore della sindrome di Asperger, e all’inizio lo si vede da bambino, nel suo paese d’origine, alle prese con una moltitudine di difficoltà a interagire con gli altri.
Questi problemi però, mano a mano che la storia prosegue e Khan si integra nel suo nuovo mondo, si dimostreranno più apparenti che reali: mantiene tutte le sue stranezze, che si manifestano in paure inspiegabili (quella del colore giallo per esempio) ma impara a gestirle e riesce ad integrarsi perfettamente.

Nell’America dopo l’11 settembre

Questo aspetto (che ricorda parecchio Forrest Gump) si integra poi con il drammone sentimentale, l’amore come parte di un più ampio processo di crescita della persona.

A questa dimensione privata se ne contrappone poi – con esiti notevoli, mi pare – una sociale e politica: Khan è musulmano, la ragazza di cui si innamora è indù, ma anche in questo caso la vicenda narrata sembrerebbe destinata ad un prevedibile happy end.

Invece si tratta solo della prima parte del film, perché una serie di eventi tragici (sia pubblici che privati) fa abbandonare  completamente lo stile e il tono da commedia e li catapulta in tutt’altra dimensione.

Con la semplicità del suo carattere, che lo porta a ripetere come un mantra “My Name Is Khan, and I’m not a terrorist”, il protagonista diventa un involontario eroe e profeta di un’America diversa.

Moltissime informazioni sul film si trovano nella scheda di wikipedia su My Name Is Khan, che mi pare in questo caso la fonte più completa.

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