Anteprima cinemio. Hopper: in his own words

Anno 2007, Cass Warner, nipote del fondatore della Warner Bros, intervista Dennis Hopper. L’attore e regista offre una visione completa ma asciutta dei momenti più salienti della sua carriera.

Da James Dean a John Wayne

La precocissima carriera di Hopper inizia negli anni ’50, al fianco di nomi molto importanti nell’ambiente hollywoodiano.

Composto, nel suo salotto di casa, l’attore racconta l’importanza di aver subito lavorato con un regista del calibro di Nicholas Ray. Johnny Guitar è il film della rivelazione, quello che gli spiana la strada verso i primi successi.

L’anno seguente è la volta di Gioventù bruciata, una pietra miliare nella storia del cinema. Qui Hopper lavora al fianco di un altro grande “maledetto” di Hollywood, James Dean, all’epoca già celebratissimo. Il suo racconto diventa molto più accorato mentre parla del dietro le quinte di questo film e del seguente, Il gigante, quando, durante le riprese, Dean muore a bordo della sua Porsche.

A questo punto la carriera dell’attore percorre due strade parallele. Da un lato lavora al fianco di John Wayne ne Il Grinta (che varrà l’Oscar al protagonista), dall’altro inizia il suo percorso nel cinema indipendente con The trip-Serpente di fuoco, che contiene molti temi che saranno centrali nel decennio successivo. Dunque, la controcultura, l’anticonformismo entrano prepotentemente in scena sia nel cinema americano che nella carriera di Hopper.

Hathaway, il regista de Il Grinta, un’istituzione agli Studios, si mette di traverso, non gradisce l’animo ribelle del giovane Dennis, che si ritrova pressocchè tagliato fuori da Hollywood. Nel documentario, però, Hopper ammette che anni dopo si rispecchierà nella figura del regista che gli era stato nemico acerrimo.

Tutt’altra storia Roger Corman, regista di The trip, produttore controcorrente nel panorama cinematografico degli anni ’60.

Il successo e i problemi

1969, Hopper passa dietro la macchina da presa, gira Easy rider. Nel biopic racconta come il capolavoro ha preso forma, con le idee un po’ pazze di Peter Fonda e il suo soggetto poco delineato. Fatto sta che è uno dei film più rivoluzionari mai girati, il progenitore nobile degli on the road e della New Hollywood, ma anche lo specchio di un’America più autentica rispetto a quella comunemente raccontata.

E’ decisamente sorprendente l’ammissione che Hopper fa sulla questione droghe. Inizialmente i due motociclisti dovevano vendere marijuana, ma non era un’idea abbastanza efficace; lo stesso Hopper rifiutò l’idea dell’eroina e si decise per la cocaina. Il successo del film favorì la diffusione capillare del consumo di questa droga.

La droga fu anche uno dei problemi che il regista ebbe dopo il clamoroso flop di The last movie. Un lungo periodo di crisi e di dipendenza lo imprigionò, finchè non ebbe due parti importanti ne L’amico americano di Wenders e in Apocalypse now.

Ma la vera rinascita dell’Hopper attore fu senza dubbio Velluto blu, nel 1986, di David Lynch e in particolare l’interpretazione di Frank, un pazzo criminale che ha distrutto la vita di un’affascinante cantante.

Il documentario ha il merito di far raccontare Hopper attraverso le sue stesse parole e con una semplicità eccezionale. La malattia che ha ucciso il pioniere dell’on the road al cinema è presente solo nel finale, quando il grande Dennis appare in cattive condizioni, ma ampiamente consapevole di aver vissuto al massimo, lasciandoci oltre ai suoi film, un’idea di libertà e anticonformismo di rara bellezza.

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