19Esce il 19 aprile in Italia L’amore secondo Isabelle, con Juliette Binoche, Gerard Depardieu e un piccolissimo cameo di Valeria Bruni Tedeschi.
Presentato al Festival di Cannes 2017 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, è valso il premio SACD alla regista Claire Denis, che lo ha anche co-sceneggiato insieme alla scrittrice Christine Angot.
L’amore secondo Isabelle
Più che di vera trama si può parlare, per questo film molto particolare, di un susseguirsi di situazioni, di tentativi che la protagonista mette in atto per trovare l’uomo ideale. O, quantomeno, accettabile.
Juliette Binoche/Isabelle è una splendida cinquantenne, divorziata, con una figlia di 10 anni. Di professione fa l’artista, la pittrice, per la precisione; il suo entourage è quello tipicamente “bobo” parigino, cioè il BOrghese-BOhème, causticamente definito il “borghese benestante con l’animo dell’artista squattrinato”.
Isabelle crede nell’amore e passa di relazione in relazione, apparentemente senza soluzione di continuità, ritrovandosi alla fine sempre e comunque al momento in cui si snocciola il problema, si parla si parla si parla di ciò che non va… senza trovare mai la soluzione per farlo andare. In una ripetizione infinita e sfinente, in cui lei sembra però riuscire a non perdere mai la speranza, né la voglia di (ri-) provarci ancora.
Una carrellata di tête-à-tête disastrosi e frammenti di discorsi di coppia
Forse perché in origine l’idea era di realizzare un’adattazione ai “Frammenti di un discorso amoroso”, complicato ed assolutamente inadattabile saggio di Roland Barthes, L’amore secondo Isabelle si presenta come un avvicendarsi di “frammenti” (appunto) di dialoghi tra due amanti.
Uno dei due è sempre la nostra protagonista, Isabelle, che potrebbe sembrare una sorte di collezionista, di studiosa dell’animo umano, con particolare attenzione alle tipologie del “maschio” attuale, se non fosse che ogni volta ci crede davvero.
Si parte dal banchiere sposato (Xavier Beauvois), si passa all’attore che rifugge la quotidianità (Nicolas Duvauchelle), perché è attratto soprattutto dalla conquista, si sfiora il tentativo col vicino timido (Philippe Katerine), che si incontra dal pescivendolo, si arriva al solito errore della ricaduta con l’ex (Laurent Grevill), che pecca di mancanza di genuino trasporto – d’altra parte un motivo ci sarà ben stato per averlo lasciato. Si continua con l’amico sulla carta perfetto (Bruno Podalydès), con gli interessi in comune, ma, appunto, troppo “amico” per crederci davvero. Si prova l’esotismo del tipo incontrato per caso (Paul Blain), in un weekend in campagna, fuori dal proprio ambiente e che col proprio ambiente non ha nulla a che fare. Tutti, inesorabilmente, con lo stesso risultato, l’ennesima delusione.
Ogni volta i rapporti sono solo intuiti, perché nel film resta solo qualche brandello di dialogo tra i due amanti, di norma il momento prima della rottura, a volte anche qualche scampolo di – se non felicità, almeno – intesa. Gli scambi verbali di coppia sono seguiti dalla camera, come un ping-pong che a tratti causa quasi il mal di mare, e ben sottolinea il non approdare a nulla di tutto quell’insieme di parole.
Per prolissità e attitudine alla disamina feroce di ogni benché minima inezia, modalità classicamente intelletual-nevrotica, alcuni hanno trovato somiglianze nella sceneggiatura con quelle “alla Woody Allen”. Pur se i dialoghi sono a tratti ben scritti, non arrivano in realtà ad essere minimamente paragonabili, perché privi della carica umoristica, sarcastica e anche dell’arguzia della scrittura “alleniana”.
Si scorge, ciononostante, in alcuni momenti dell’ironia, che fa accennare un sorriso. Rimane però molto spesso confinata ad un discorso quasi interno, autoreferenziale, tra “bobo” parigini che ridono (o, meglio, abbozzano una vaga increspatura del labbro superiore) di aspetti tipici dei “bobo” parigini, che capiscono in special modo i “bobo” parigini.
Gli uomini de L’amore secondo Isabelle … e Isabelle
Il ritratto di “uomo contemporaneo” che ne esce fuori non è certamente dei più lusinghieri, ma anche le nevrosi tipicamente femminili sono descritte in modo implacabile, senza alcuna pietà né il minimo sconto.
Isabelle appare ansiosa, quasi ossessionata da questa sua ricerca perenne, sempre dubbiosa, mai soddisfatta.
Se i suoi “uomini” sembrano in buona parte stereotipi maschili, e non dei migliori, lei, Isabelle, riesce ad irradiare sempre la scena. Con le sue molte contraddizioni, con il terrore che per lei l’amore sia ormai “dietro alle spalle”, troppo distante e irraggiungibile per chi ha varcato o si aggira alla soglia dei cinquanta, col suo entusiasmo di non cedere comunque mai, nonostante tutto, riesce a risultare “umana, molto umana”.
E Binoche è, come suo solito, estremamente convincente, emozionante, brava, in una parola. Molto brava. Capace di trasmettere le nevrosi del suo personaggio ma insieme di farcene ammirare lo spirito, la voglia di continuare a sognare. Senza paura di cadere nel ridicolo, ma sempre in bilico, ad un passo dall’esserci – con quelle mise un po’ improbabili, come la minigonna, la giacca in pelle e gli stivaloni sopra il ginocchio, da donna “a caccia” che tenta disperatamente di negare il tempo che passa, ma che ha una tale carica interiore che alla fine riesce a non farlo passare.
La scena culminante di L’amore secondo Isabelle è – giusto per rimanere in linea con la particolarità dell’opera – quella finale. Il “duetto” con Gerard Depardieu, che è anche la scena più lunga dell’intero film, e il momento in cui i due attori si ritrovano assieme dopo aver avuto, qualche anno fa, un forte scontro, quantomeno a livello mediatico (Depardieu aveva accusato la Binoche di non valere nulla, affermando di domandarsi per quale motivo la si stimasse come attrice, mentre lei aveva risposto alquanto signorilmente, dichiarando di non essersi sentita ferita dalle sue parole, probabilmente dettate dalla gelosia ma poco importava).
Il personaggio di Depardieu è introdotto dalla breve apparizione, in auto, di Valeria Bruni Tedeschi, che facciamo a tempo a sentir parlare, guardare in faccia, ed ha già terminato il suo cameo. Il cui scopo era poi quello di scaricare Depardieu, evidenziare come – anche lui – avesse i suoi problemi in materia d’amore. Pur se il film termina con lui che d’amore si mette a parlare e a consigliare, nel suo ruolo di sedicente indovino, ad una Isabelle/Binoche che pende dalle sue labbra. Ennesima contraddizione.
Il finale de L’amore secondo Isabelle è un’altra caustica frecciatina ad una tendenza diffusa tra i “bobo”, non solo parigini (riecheggiano alla mente scandali tutti milanesi di maghe, indovini e jet-set): rivolgersi, quando non si sa più che pesce pigliare, al “santone” di turno, al guru spirituale, alla versione – borghese, laica, spicciola – della fede in un qualcosa di superiore ed intangibile, cui potersi aggrappare.
Depardieu snocciola una serie di banalità, di previsioni che dicono tutto e niente: mantenere il rapporto con l’uno ma attendersi il ritorno dell’altro; andare avanti, ma non voltare completamente pagina; rimanere “open”, pronta a cogliere tutto ciò che si presenti, ma nel contempo “ricentrarsi nel suo bel sole interiore”. Quel sole interiore – Un beau soleil intérieur – che era poi anche il titolo originale del film, diventato, per i consueti misteri delle traduzioni in Italia, L’amore secondo Isabelle (direi una traduzione pressoché letterale e, sì, c’è ironia nell’aria).
Mentre Depardieu enumera il suo elenco di inverosimili “verità”, con l’aplomb di chi “conosce il verbo”, Binoche/Isabelle sgrana gli occhi e si beve tutto quello che sente come si trattasse di rivelazioni divine. Perché alla fine lei ci vuole credere, ha bisogno di crederci, riesce a crederci. A farlo credere anche a noi.
Bilancio finale
Film estremamente difficile. Con una Binoche strepitosa, con attimi in cui i dialoghi sono davvero ben scritti, con una regia consapevole che destruttura non solo il film ma la storia d’amore, riducendola a scambi a due in cui – quasi sempre – uno dice quello che l’altro non vorrebbe sentire. Fino allo scambio finale, in cui lo pseudo-indovino dice, per una volta, ciò che la protagonista voleva sentire – tutto e niente – ma lo dice all’interno di un rapporto che non è – o non è ancora – d’amore. L’amore secondo Isabelle è – quasi certamente – complicato da seguire per chi ama la narrazione classica, interessante per coloro a cui piacciono gli esperimenti di regia d’autore.