Oggi parliamo di un documentario, in concorso al BIF&ST 2014 nella sezione cortometraggi, che ha colpito favorevolmente la giuria ed il pubblico del festival: Zima di Cristina Picchi.
Cristina Picchi, classe 1981 è una regista e scrittrice italiana che vive ormai da anni a Londra. Ha conseguito una laurea e un master in Letteratura Europea presso l’Università di Pisa ed un master in Screen Documentary alla Goldsmiths University. Ha diretto diversi documentari brevi proiettati in festival di tutto il mondo e vincitori di numerosi premi e scritto numerosi racconti contribuendo a libri pluripremiati . Zima, del 2013, è il suo ultimo documentario.
Zima
Un docufilm sulla Siberia e la Russia del nord attraverso gli occhi e le esperienze dei suoi abitanti. Con il suo Zima Cristina Picchi ci accompagna in un viaggio in un mondo totalmente diverso dal nostro, dove la natura la fa da padrona e gli uomini devo fare sempre i conti con temperature impossibili. Commoventi i racconti del ragazzo africano arrivato lì solo con un cappotto che non si aspettava temperature che arrivano anche a -35 gradi o quelli degli abitanti del luogo abituati all’imprevedibilità del tempo e ai lunghi inverni bui. Un documentario coraggioso non solo nel tema ma anche dal punto di vista tecnico. Splendida la fotografia che riesce a trasmettere il gelo e l’asprezza dei luoghi ed il coraggio dei suoi abitanti. Un documentario molto interessante che denota la maturità e la professionalità della regista che speriamo di vedere presto alle prese con un lungometraggio.
Le domande alla regista
Ciao Cristina, benvenuta su cinemio. Iniziamo dal soggetto del corto: durante la presentazione al BIF&ST hai detto che faceva parte di un progetto di cortometraggi legati alla Transiberiana. Vuoi parlarcene?
Zima è stato creato durante il progetto Cinetrain: Russian winter, la terza edizione di un workshop che parte dall’opera del cineasta russo Aleksandr Medvedkin, il quale aveva creato uno studio di produzione su un vagone della Transiberiana. Cinetrain seleziona filmmaker da tutto il mondo per poi realizzare dei cortometraggi durante il viaggio, che nel mio caso ha avuto luogo nell’inverno 2013, e mi ha portata da Mosca al Lago Baikal. Parte fondamentale del progetto è il fatto che i film devono essere conclusi durante il viaggio stesso, ed essere poi proiettati al rientro a Mosca. Zima è stato dunque non soltanto girato, ma anche montato su un vagone della Transiberiana. Un’esperienza unica, e anche una bella sfida.
Una volta Gabriele Salvatores, parlando di ‘Educazione Siberiana’ ha raccontato le difficoltà tecniche di girare in ambienti così freddi. A te com’è andata? I protagonisti sono del posto ma immagino che tu sia abituata a temperature ben più alte…
Le difficoltà tecniche sono rilevanti, servono più attenzioni e anche molta pazienza, tutto diventa più lento, difficoltoso e delicato. Ad esempio prima di entrare in ambienti chiusi dovevamo sigillare tutto in buste di plastica ed aspettare almeno un quarto d’ora per scongiurare i problemi legati alla condensa, la reflex di un altro gruppo si è addirittura rotta. Ricordo che durante il montaggio non riuscivamo a trovare una parte dell’audio, e dopo aver discusso a lungo col direttore del suono ci siamo resi conto che semplicemente non esisteva, l’attrezzatura si era bloccata a causa del freddo e aveva smesso di funzionare. Gli esempi potrebbero essere molti, senza contare che, avendo deciso sin dall’inizio di girare solo in esterni, anche da un punto di vista fisico non è stato affatto semplice: trascorrere tutto il giorno a temperature di -35 può essere a tratti estenuante.
Quanto invece al tema vero e proprio del corto, hai avuto difficoltà nell’immedesimarti e raccontare i protagonisti, di cultura così diversa dalla nostra? Come ti sei relazionata con loro?
La vera sfida è stata cercare di raccontare un luogo e una stagione così affascinante e mostruosa al tempo stesso, partendo dalle parole e dalle emozioni di chi vi è talmente abituato da non trovarci niente di straordinario: “normale” è la parola che mi è stata ripetuta più spesso. Credo che la mia estraneità a quell’universo ed il mio senso di meraviglia per una natura tanto potente e drammatica siano stati fondamentali nel creare Zima.
Ci parli della lavorazione del film? Ci sono degli aneddoti che ti va di raccontarci?
Ho moltissimi ricordi, ho visto posti bellissimi e incontrato persone stupende, inclusi i miei compagni di viaggio. Alcuni, in ordine sparso: incontrare una coppia di anziani in un paesino a ore dal primo centro abitato e scoprire che, nonostante gli sforzi dell’interprete, non capiscano perché non parliamo russo: non avevano mai incontrato degli stranieri, eravamo degli alieni per loro. Alla stazione meteo di Uzur, una manciata di case nella parte più remota dell’isola di Olkhon, sul lago Baikal, avere la sensazione di essere alla fine del mondo, di non essere mai stata così lontana da tutto e da tutti. E poi, l’ultimo giorno prima di ripartire per Mosca, tuffarsi nell’acqua gelata del Baikal con i miei compagni. Indimenticabile.
Quando hai presentato il corto a Bari hai detto che ti piace essere tornata in Italia ma che all’estero ti hanno fatto tante proposte. Tu che ti sei trovata, quasi per caso, a fare la regista all’estero, cosa pensi del cinema italiano e delle opportunità che un regista emergente può avere in Italia piuttosto che all’estero?
Non ho esattamente detto che all’estero mi hanno fatto proposte, direi piuttosto che ho cercato e trovato più opportunità di quelle che mi aspettavo. Non sono fuggita dall’Italia per esasperazione, e non credo che andare alla rierca di opportunità ed esperienze all’estero sia di per se una cosa negativa, anzi, in molti settori mi sembra quasi un passaggio fondamentale. Però si, guardando alla situazione di amici e colleghi provenienti da altre nazioni europee, ho avuto spesso la sensazione che fossero più seguiti e supportati, come ad esempio in occasione degli European Film Awards, in cui Zima era fra i 15 finalisti per il premio come miglior cortometraggio. In questo senso ricevere il Premio Emidio Greco (istituito dal Festival del Cinema Europeo, dal Centro Nazionale del Cortometraggio, e dalla famiglia Greco) non è stato soltanto un grandissimo onore, ma anche un evento in un certo senso simbolico, un momento di “integrazione”.
Il tuo corto, inedito in Italia, ha già girato molti festival internazionali e vinto molti premi. Come sono state queste esperienze? C’è un complimento che ti è rimasto più nel cuore? E al BIF&ST com’è andata?
Zima è il primo lavoro che mi sono davvero impegnata a distribuire a festival internazionali, ma devo ammettere che i risultati hanno superato qualsiasi aspettativa. Sono davvero tante le emozioni legate a questo ultimo anno, ma credo che i ricordi più intensi siano quelli di Locarno: non soltanto per i premi vinti, ma per il fatto di aver potuto condividere quel momento così magico insieme alle persone che avevano lavorato con me e alla mia famiglia. E’ stato bello conoscere gli altri finalisti degli European Film Awards, tutti ottimi registi, buona parte dei quali sono diventati anche degli amici. Ma in generale conservo ricordi positivi di tutti i festival, e posso dire di aver conosciuto persone interessanti ovunque sia stata, incluso il Bifest, dove la qualità dei lavori era davvero alta. Di Bari poi ho amato molto anche la città, e le serate al Petruzzelli – un luogo magico.
Ed ora uno sguardo al futuro. C’è già un nuovo progetto nel cassetto? Puoi parlarcene?
Al momento sto ultimando la scrittura di una sceneggiatura per un cortometraggio sviluppato durante il workshop European Script and Pitch, e inizio a fare ricerche per quello che, spero, sarà il mio primo lungometraggio documentario. Sono poi stata selezionata per una residenza che all’inizio del prossimo anno mi porterà nuovamente all’estero, in Canada – sembra che farò presto un altro film con molta neve…
Ringrazio Cristina Picchi per la disponibilità e le faccio un grande in bocca al lupo per questa nuova straordinaria avventura.