‘Talking to the trees’ di Ilaria Borrelli. Un inaspettato road movie nell’entroterra della Cambogia

In Cambogia, dove è ambientato il film, c’è la credenza tra i popoli nativi che gli alberi siano sacri ed abbiano un anima. Per questo loro gli rivolgono delle preghiere, proprio come fa la protagonista del film, una bambina di nome Srey (Seta Monyroth), che ha perso la sua famiglia.

Talking to the trees

la locandina

La nonna di Srey gli muore proprio davanti agli occhi, ed il padre è in guerra, e lei si ritrova con il fratello più piccolo ad essere raggirata da un adulto e sfruttata per il turismo sessuale. Questa è la forte denuncia del film, la perdita dell’innocenza e dei sogni dei bambini, che dovrebbero solo giocare e andare a scuola.

La Cambogia è un simbolo di una terra ancora selvaggia, una foresta che ti ingloba dentro la sua terra, ancora vergine, e che ti costringe a levarti di dosso tutte le sovrastrutture della società. La protagonista, una donna francese, Mia, interpretata da Ilaria Borrelli, in doppia veste di regista e attrice, inizia il suo viaggio, soprattutto interiore, dopo aver subito lo shock di venire in contatto con questa realtà così atroce, lei che filtra tutto attraverso l’obbiettivo di una macchina fotografica per lavoro, per coglierne solo una piccola frazione di secondo.

Storie vere che fanno riflettere lo spettatore, e che non hanno paura di affrontare i fatti in maniera onesta. La regista riesce ad utilizzare un linguaggio semplice, una leggerezza che riesce a rapire e coinvolgere senza però cadere nella trappola di sfruttare il caso umano.

Seta Monyroth

Questo film ha il sostegno dell’Unicef e di Amnesty International ed è stato proiettato presso il parlamento europeo a Bruxelles come simbolo nella giornata mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori, ed ha vinto il best Film Awards a Los Angeles, miglior film al Women’s International film festival dii Miami, 5 nomination al Madrid International Film Festival, ma purtroppo non ha mai avuto una distribuzione in Italia, e uscirà il 5 giugno in Francia.

Ilaria Borrelli, da attrice a regista: come arrivare ad avere l’esigenza di raccontare delle storie.

Ilaria Borrelli, napoletana, ma ormai adottata dai francesi, proviene dalla recitazione: ha frequentato prima l’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, e poi ha fatto l’Actor Studios e si è laureata in sceneggiatura alla New York University, ed ha preso anche il diploma al conservatorio di Santa Cecilia in pianoforte. L’arte c’è l’ha nel sangue, forse anche perché il teatro napoletano ha una grande tradizione, e lei  proviene da questo mondo, prima di approdare al cinema e alla televisione. Sul set spesso suggeriva ai registi come girare quella scena, e da li che gli nasce l’esigenza di voler raccontare, e non solo essere un esecutrice.

Il suo primo film Mariti in Affitto (2004) non ha avuto un gran successo, e come spesso capita, lei ha scelto di andarsene dall’Italia per rimettersi in gioco, perché nel nostro paese non ti viene data un’altra opportunità. Il suo secondo film girato in Toscana, Come le formiche (2007) viene snobbato dai critici, nonostante abbia un cast di tutto rispetto: F. Murray Abraham, Enrico Lo Verso, Galatea Ranzi,  ma esce all’estero con il titolo Wine and kisses.

Cosa ti ha portato dall’essere attrice a diventare regista?

In Italia non ci sono grandi ruoli per le attrici, soprattutto non vengono raccontate storie di donne coraggiose. Purtroppo finché gli uomini saranno la maggioranza nei ruoli centrali, come la regia e la sceneggiatura, il loro ruolo sarà sempre relegato a moglie, amante, una figura molto dipendente dall’uomo. In Francia il fenomeno di attrici che diventano registe e in forte crescita. E’ nella fase di preproduzione di un film che si decide tutto, ed è proprio li che ci dovrebbero essere la presenza di più donne. Loro dovrebbero avere più voce in capitolo e più forza per raccontare le loro storia

Talking to the trees è il tuo film più maturo, più sentito. Quello che è riuscito a consolidarti finalmente come regista. Cosa ti ha spinto a parlare di questo argomento?

Da quando ho due figli, sono diventata molto più sensibile alle tragedie legate all’infanzia. Anche i prossimi film parlano tutti di bambini in situazioni estreme di dolore come questa. Pero’ lascio sempre una speranza: POSSIAMO TUTTI FARE QUALCOSA PER AIUTARE, le tragedie si possono evitare se siamo tutti meglio informati e abbiamo voglia di metterci qualcosa di nostro.

Quanto tempo son durate le riprese?

Siamo stati li 3 mesi e mezzo. Siamo partiti solo in 7 dall’occidente, uno da New York, uno da Sidney, uno da Milano, e poi noi due dalla Francia. Tutti gli altri li abbiamo presi sul posto, e nessuno aveva mai fatto cinema prima. Abbiamo fatto una scuola di 2 settimane, e adesso qualcuno di loro  lavora in TV in Cambogia.

Come avete lavorato sulla sceneggiatura e sulla regia?

Abbiamo fatto le interviste alle bambine che veramente erano uscite dalla prostituzione. Le cose dette nel film sono tutte vere. Sul set io mi occupavo degli attori, dell’acting, e Guido Freddi, che mi ha aiutato nella sceneggiatura e nella coregia, sceglieva i posti, organizzava i permessi e la troupe.
Ci alternavamo  continuamente al monitor, lui soprattutto quando dovevo recitare. Era quello di cui mi fidavo di più, per chiedergli se era venuta bene o meno una ripresa.

Come ha reagito il pubblico dopo le proiezioni?

Tante donne in lacrime in tutti i paesi, ma particolarmente in Canada e USA, la gente non voleva credere che era tutto vero. Ci sono stati molti dibattiti interessanti per informare.

Le fotografie alla fine del film di chi sono?

Le bellissime foto sono di Stefania Fumo.

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