Suso Cecchi D’Amico (1914 – 2010): “Scrivere con gli occhi”

Per me, Suso Cecchi D’Amico è stata per anni – lo ammetto – poco più che un nome. Un nome che vedevo così spesso nei titoli di testa dei film, specie nei classici del cinema italiano, da perdersi quasi tra i ricordi di infanzia. Ebbene, la persona che stava dietro a questo nome così aristocratico ha segnato negli ultimi cinquant’anni una quantità impressionante di capolavori: affermandosi come una delle più grandi sceneggiatrici nella storia del cinema.

E non solo di quello italiano, intendo dire. Ha avuto un talento ed una prolificità che sarebbero già straordinari di per sé, e che nel caso di Suso Cecchi D’Amico risaltano ancor più perché – in un ambiente di autori monopolizzato dal genere maschile – è stata praticamente l’unica donna. C’è la sua mano ad esempio dietro le storie di “Ladri di Biciclette” (De Sica, 1948), “Miracolo a Milano” (Visconti, 1951), “Bellissima” (Luigi Zampa, 1952), “La signora senza camelie” (Antonioni, 1953), “Senso” (Visconti, 1954), “I soliti ignoti” (Monicelli, 1958), “Rocco e i suoi fratelli” (Visconti, 1960), “Salvatore Giuliano” (Francesco Rosi, 1962), “Il Gattopardo” (Visconti, 1963).

Un elenco che, per quanto assai incompleto (ho pescato soltanto alcuni titoli a caso), basta a dare le vertigini. Nel suo lavoro c’è buona parte di TUTTO il nostro cinema, almeno in quella che è stata definita la sua età dell’oro. Infatti andranno di pari passo: dalla seconda metà degli anni Sessanta continua a produrre molto (ed ancora fino a tutti gli anni Novanta), ma senza più incidere come in precedenza.

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E adesso in occasione della sua scomparsa, avvenuta sabato all’età di 96 anni, quasi tutti i giornali italiani hanno dedicato (giustamente) un ampio spazio per ricordarla.

Paolo Mereghetti, su Corriere della Sera di ieri, prende spunto dalla frase con cui lei stessa aveva sintetizzato il suo lavoro: “Lo sceneggiatore non è uno scrittore; è un cineasta e, come tale, non deve rincorrere le parole, bensì le immagini. Deve scrivere con gli occhi”.

Più personale il pezzo che le dedica Irene Bignardi su Repubblica: “Di Suso ce n’era una sola […]. Si diceva Suso, nel mondo del cinema, e si sapeva che si parlava di lei […]. La grande sceneggiatrice”.

Per approfondire la personalità di Suso Cecchi D’Amico, c’è il suo libro-intervista scritto con la nipote (Margherita D’Amico): “Storie di Cinema (e d’altro)”, pubblicato da Garzanti nel 1996.

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