Secondo lungometraggio in concorso al Sudestival 2015 è Senza nessuna pietà di Michele Alhaique. Dopo averne parlato in occasione dell’uscita al cinema, oggi abbiamo la possibilità di discutere del film direttamente con il regista e di leggere l’opinione di uno dei giurati della giuria dei giovani.
Senza nessuna pietà
Mimmo, il protagonista di Senza nessuna pietà è un uomo massiccio e burbero, fa il muratore, ma avviato da una tradizione familiare malavitosa, commette reati ed estorsioni pur di ottenere ciò che vuole. Arriva un momento però, in cui decide di ribellarsi a questo terribile stile di vita e grazie all’incontro con Tanya, giovane ragazza bionda, fragile e sola di fronte alla difficile realtà con cui si trova a fare i conti, arriverà una luce nella sua vita ombrosa.
Pur di cambiare vita arriverà a ferire irreparabilmente Manuel, suo cugino. La scena più bella del film vede Mimmo in macchina ferito e sanguinante, la camera si stringe sui suoi occhi da cui sgorgano lacrime e sangue, a simboleggiare la spaccatura della sua vita, un destino già scritto che lo porta ad essere violento, ma un animo dolce e sensibile che lo porta a soffrire così tanto.
Michele Alhaique ci fornisce un ottimo film, una forte caratterizzazione dei protagonisti; probabilmente la colonna sonora aveva bisogna di maggior cura, ma non posso che fare i complimenti per questo spaccato di vita veritiero e profondo.
GIOVANNI ROTOLO, IIIA Liceo Classico “IISS Galileo Galilei”
L’intervista al regista Michele Alhaique
Oltre che regista sei anche autore della sceneggiatura. Puoi raccontarci la genesi del film?
Il film nasce da un soggetto di Andrea Garello, sul quale voleva scrivere un romanzo. Poi cominciarono a lavorarci lui e Emanuele Scaringi e lo trasformarono in una sceneggiatura. La prima di una lunga serie di stesure. Quando infatti Garello mi ha dato l’opportunità di leggerla trovai che ci fossero molti elementi interessanti, principalmente i personaggi.
Cominciammo così a lavorarci insieme. Un lavoro che durò più di tre anni, ovviamente non continuativi. Io ero impegnato come attore e tornavamo saltuariamente a lavorare insieme. E’ stato un periodo lungo ma che mi ha permesso di affrontare la fase di scrittura in maniera molto analitica.
Pierfrancesco Favino, oltre che protagonista è anche produttore del film da lui fortemente voluto. Com’è nata questa collaborazione? Che rapporto hai avuto con lui sul set?
Io e Pierfrancesco Favino ci eravamo conosciuti sul set di Maria Sole Tognazzi L’uomo che ama. Io interpretavo suo fratello. Allora avevo già girato il mio terzo e ultimo cortometraggio, e lui fu una delle prime persone a vederlo. Da allora cominciammo a parlare di una volontà di fare qualcosa insieme. Poi il percorso è stato lunghissimo, come è giusto che sia.
Ma lui è stato fondamentale per riuscire a portarlo a termine anche produttivamente. Inizialmente non è stato facile per me convincermi che lui si potesse fidare di me, invece così è stato. Si è lasciato guidare nella costruzione di questo personaggio silenzioso ma carico di conflitti.
Domanda inevitabile: nasci attore e questo è la tua prima opera da regista. Come mai questa scelta? Sentivi la necessità di raccontare piuttosto che essere uno strumento del racconto?
Esattamente. Da sempre ho affiancato la mia carriera da attore con la regia di cortometraggi indipendenti. Ho sentito un passaggio naturale quello dal racconto breve al lungo. Sono due mestieri apparentemente distanti ma in realtà vicini. Si tratta di raccontare delle storie e lo si fa sempre in maniera personale, facendo delle scelte che determineranno la fruizione di quelle storie.
Parliamo un po’ del film: in quanto romano di nascita è stato più semplice per te raccontare questa Roma ruvida e periferica?
Si, senz’altro il mondo che ho cercato di raccontare con Senza nessuna pietà lo conosco, ma il mio obiettivo era quello di rendere universali i personaggi e le emozioni che questi provano. Per questo ho dipinto una Roma mai troppo riconoscibile, la metropoli dove i protagonisti si muovono potrebbe essere forse quella di un qualsiasi altro paese del mondo.
Oltre Favino, come hai scelto i tuoi protagonisti? E come hai lavorato con loro per la costruzione del personaggio?
Quando ho conosciuto Greta Scarano sul set di Qualche Nuvola ho pensato che sarebbe stata perfetta per interpretare Tania. Ha dovuto affrontare diversi provini per convincere i produttori e anche se stessa che sarebbe stata in grado di affrescare un personaggio con un arco così complesso. Le ho chiesto infine di allontanarsi da sé anche fisicamente, come avevo chiesto a Favino (lui ha preso 20 kg per Mimmo), così è dimagrita ed è diventata bionda.
Lo stesso lavoro di cambiamento fisico è stato affrontato da Gioè, Giannini e lo stesso Davoli. Credo che la sfida più grande per un attore sia quella di esplorare un mondo lontano da sé e lasciarsi stupire di fronte a ciò che può accadere in un territorio sconosciuto.
E per concludere uno sguardo al futuro. Qual’è il tuo prossimo progetto? Ti piacerebbe girare un film in cui sei anche attore?
Certo mi piacerebbe, ma non credo di essere ancora pronto. Ho bisogno di stare vicino agli attori con la macchina da presa mantenendo anche una certa oggettività. In futuro non so. Adesso sto scrivendo una nuova storia sempre con Andrea Garello.
Ringrazio Michele Alhaique per averci parlato del suo film Senza nessuna pietà e invito tutti a continuare a seguirci in questa avventura del Sudestival 2015 e a rileggere le interviste del Sudestival 2014, 2013 e 2012.