E’ da ieri nei cinema il film vincitore del Leone d’Oro al festival internazionale del cinema di Venezia, Sacro GRA, di Gianfranco Rosi.
Trama diversa dal solito
Sullo sfondo di una Roma invisibile, in quanto la narrazione potrebbe essere definita in qualunque altra grande città, alcune storie si incrociano e altre no, atte a scandire una visione della vita di chiunque abiti all’interno del GRA, il Grande Raccordo Anulare, 70 km di autostrada urbana, la più grande in Italia, quasi a creare un universo a se.
Le storie che Gianfranco Rosi racconta (e non racconta) non hanno inizio o fine; sono solo dei spicchi di luce, una piccola verità, all’interno di una tipica giornata romana (e non).
Metà documentario, metà film
Il film si presenta come un documentario, ma di esso ha poco, come non si può qualificarlo nemmeno come film: Rosi crea un documentario, presentandolo come un film, dove gli attori (che non sono attori) interpretano direttamente loro stessi, anzi loro sono se stessi. Rosi così crea uno dei film più veri mai fatti, macchiato dall’esperienza di vita di ogni uomo e donna che parla, di ogni sfaccettatura, di ogni accento o dialetto.
Tutta la pellicola non è altro che un collettore di storie che, in modo erroneo, non vengono collegate non dallo spazio dentro o fuori il GRA, ma dalla vita stessa, capace di rendere unico ogni essere umano, con le sue privazioni, i suoi dolori e le sue fortune.
La pellicola punta molto sulle immagini, alcune volte cercate, ma mai forzate, condite da una fotografia accurata.
I due anni si lavoro sul film si fanno sentire. C’è l’estate, l’autunno, la neve di Roma e un buon lavoro di regia. Impossibile non notare l’influenza di The Three of Life di Terrence Malick in questo film, dove Rosi, invece della natura, fa parlare la natura urbana della città, palazzi, treni, navi, aerei.
Critica finale
Il film è stato fortemente criticato, dopo l’assegnazione del premio, in quanto pellicola che trova il consenso del pubblico romano, ma che taglia fuori tutti gli altri spettatori che non abitano nella Capitale. Mi permetto di dire che questa critica non ha alcun fondamento, perchè, a dispetto del nome, Rosi avrebbe potuto ambientare il film in qualunque altra città italiana. Non è la città che fa il film, ma le sfaccettature di persone, le anime che la abitano a rendere la città unica, indimenticabile.
Sacro GRA è un film di grande valore che forse vivrà con la macchietta della critica per ancora un bel po di tempo, ma soltanto la visione del film, renderà giustizia ad ogni spettatore.