Oggi chiacchieriamo con Andrea Lodovichetti, regista di numerosi cortometraggi ma anche videoclip e spot e vincitore di molti premi di cui i più importanti sono il Golden Globe 2009 e il premio Looking for a Genius asssegnato da Spike Lee a Cannes nel 2008 per il suo cortometraggio Sotto il mio giardino.
Assistente alla regia di Paolo Sorrentino per i film L’amico di famiglia e Il divo (vincitore del premio della giuria al festival di Cannes nel 2008), Andrea Lodovichetti è un regista con un’esperienza davvero interessante. Il cortometraggio Sotto il mio giardino, realizzato come Saggio di Diploma al Centro Sperimentale è stato insignito di più di 30 premi (tra i quali i due di cui parlavo nella introduzione) e selezionato in oltre 100 Film Festival in tutto il mondo diventando uno dei cortometraggi italiani più proiettati all’estero di tutti i tempi.
Sotto il mio giardino racconta la storia di Marco un bimbo di 10 anni appassionato di insetti che un giorno, scoprendo un nuovo formicaio, si convince che il suo vicino di casa abbia ucciso la moglie seppellendola proprio in quel punto. Si confida anche con la sua amichetta Sara ma, non creduto, decide di continuare la sua indagine da solo.
Come si può già notare dal trailer, il film è tutto incentrato sui due bambini, in particolar modo sul piccolo Stefano Bottone che Lodovichetti dirige con abilità. Interessante lo sviluppo della storia che, pur mantenendo in parte la leggerezza della commedia, tiene alta la curiosità dello spettatore con il mistero del formicaio del piccolo Marco. Molto particolare la fotografia ricca di dettagli e primi piani e bello anche l’accompagnamento musicale.
E ora le domande al regista
Andrea, come nasce l’idea dei tuoi corti?
Solitamente… per caso. Di fatto non cerco mai storie in particolare, ma emozioni, cose che mi fanno accendere la lampadina. Il punto di partenza potrebbe essere una fotografia, un’immagine quotidiana, un brano musicale, un personaggio che incontri per strada, un racconto, un aneddoto. Viviamo passivamente 10.000 storie al giorno, i nostri occhi le captano ma magari il nostro cervello non le registra. Secondo me è importantissima la fase dell’osservazione del mondo che ci circonda.
Come dice il mio socio “farsi domande importanti su cose banali”. Come sostiene Tabucchi in una sua popolare opera: tutto inizia con un gioco, semplice ed infantile, il saper cesellare parti di varie storie prese qua e la e farle diventare una cosa sola, una cosa che prima non era nulla ma che poi lo diventa: la tua storia.
Quali sono state le difficoltà che hai avuto durante la lavorazione?
In tutto ho realizzato 7 cortometraggi, 3 durante il mio corso di studio al Centro Sperimentale di Cinematografia e altri 4 prima di prenderne parte, quando frequentavo il Dams. Grossi problemi non li ho mai avuti, sinceramente. Sono solito fare mesi di preparazione e prove, e faccio sempre storyboard molto precisi. In modo tale che, sul set, tutto possa andare liscio. Questa metodologia ha sempre funzionato.
Chiaro, ci sono sempre gli imprevisti dell’ultimo minuto, ma se si è lavorato bene fino a quel momento, le uniche difficoltà si limitano alla gestione dei suddetti imprevisti che inevitabilmente si possono presentare. Ma con una squadra di produzione in gamba, tutto si può superare senza problemi. Avere un piano B, sempre, per ogni minimo dettaglio: questa è la formula vincente.
Però relativamente all’ultimo corto, Sotto il mio giardino, abbiamo avuto un problemino un pò delicato (ovviamente risolto, ma che ci ha fatto tremare!). Era una situazione di luce a cavallo (tramonto) e sappiamo che in quei contesti, si ha più o meno 20 minuti per girare, altrimenti la luce cala e la scena/atmosfera è persa. Ebbene, era la scena di un arresto, e capitò che le manette finte si ruppero nelle mani dell’attore durante le prove, anzi, per essere precisi si ruppero le chiavi all’interno… e intanto la luce calava.
E queste benedette manette non si rompevano. Quindi la situazione (agghiacciante) era questa: tutti i reparti pronti per girare, la luce che calava e l’attore ammanettato che quindi non poteva fare il ciak. Dopo alcuni minuti frenetici, con seghetti, cacciaviti e altri mezzi di fortuna siamo riusciti a risolvere il problema. Liberare l’attore dalle manette, sostituirle, e girare la scena con la luce che volevamo. Non nascondo che ci son stati attimi di vera tensione: era l’ultimo giorno di riprese e quella scena era il pre-finale del film!
Concludiamo qui la prima parte dell’intervista. Continua a scoprire gli altri dettagli della carriera di questo talentuoso regista.
sito qui: http://www.andrealodovichetti.com