“Nauta” di Guido Pappadà

Esce il prossimo venerdì al cinema Nauta, film di Guido Pappadà con David Coco, Luca Ward e Massimo Andrei. Il nostro Davide Cinfrignini è andato a vederlo in anteprima e lo recensisce per noi. Lui non ne è rimasto particolarmente colpito. Tu che ne pensi?

a cura di Davide Cinfrignini

Nauta

Bruno (David Coco) è un professore universitario di quarant’anni, in crisi per le difficoltà che incontra nella sua storia sentimentale con la moglie Sara (Monica Ward). Quando un suo vecchio amico, Paolo (Giovanni Esposito), lo informerà di un misterioso fenomeno naturale verificatosi sull’isola di La Galite, riuscirà ad ottenere i finanziamenti per intraprendere un viaggio che gli confermi l’attendibilità della sua fonte.

Bruno decide di formare un gruppo di lavoro, che partirà alla ricerca del luogo della perfetta armonia tra Uomo e Natura, formato dal Capitano Davide (Luca Ward) che metterà a disposizione il suo yacht a vela “Mariella”, dalla raccomandata biologa Laura (Elena Di Cioccio), dal sommozzatore Lorenzo (Paolo Mazzarelli) e da Max (Massimo Andrei).

Un’opera inconstistente e approssimata

Ambientato nei primi anni ’90, Nauta è in verita un film completamente avulso dalla realtà e che vive semplicemente dei rapporti tra i cinque protagonisti. Costretti all’intimità forzata nella “Mariella”, lo yacht del capitano, riscoprono se stessi alla ricerca del fenomeno naturale avvenuto sull’isola La Galite.

Pappadà dà vita ad un road movie atipico, visto che le strade che accompagnano i protagonisti sono quelle marine. Nauta è però un’altra opera inconsistente: già dalle dinamiche iniziali sono fin troppo evidenti le incertezze di regia e l’approssimazione in fase di scrittura. Sembra che la distanza tra l’idea che aveva l’autore del suo film e il risultato finale sia abissale.

La locandina del film

Toni poetici e riflessioni filosofiche non riescono a trovare credibilità tra personaggi che poco si discostano da semplici macchiette e dialoghi inconsistenti. Nauta finisce per essere una favola fine a se stessa che si serve degli stereotipi e della prevedibilità per colpire una fetta di pubblico molto ampia.

La classica pellicola che crea conflitti improbabili, priva di coraggio intellettuale che si limita a coccolare furbamente il pubblico attraverso parole, immagini e musica.

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