Maternity Blues: uno “sguardo” alle madri assassine…

Maternity Blues, diretto da Fabrizio Cattani e ispirato al testo “From Medea” di Grazia Verasani, narra la storia di quattro donne e, soprattutto, di quattro madri. Queste si incontrano e si conoscono all’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario poiché colpevoli di aver ucciso i loro figli.

di Chiara Ricci

Madre – Medea o assassina?

locandina ufficiale del film Maternity blues

locandina ufficiale del film Maternity blues

C’è Clara (Andrea Osvart) incapace e indecisa di accettare il perdono del marito (Daniele Pecci) vive nel silenzioso e composto dolore della sua colpa.

Vincenza (Marina Pennafina) che nonostante la sua fede incrollabile compie un gesto estremo lasciando dei diari dove implora il perdono dei suoi figli e racconta loro tutto quanto avrebbe voluto durante la loro crescita.

Rina (Chiara Marteggiani) – la più giovane del gruppo – è l’unica che è riuscita a rimettere insieme i pezzi del mosaico della sua vita andato prematuramente in frantumi; è l’unica di queste donne a vedere e pensare veramente e concretamente al suo futuro; l’unica ad avere un grande desiderio di crearsi nuovi ricordi, di voler iniziare una “nuova” vita.

Eloisa (Monica Birladeanu) è la più dura delle quattro – almeno apparentemente – facendo della sua corazza il suo mondo costruito su basi di estremo cinismo e finto disinteresse verso l’amore e verso la sua condizione.

Ognuna di queste madri – poiché questo esse sono, loro malgrado – racconta di sé, delle loro esperienze, di come hanno perso i loro figli, di cosa è scattato nelle loro vite e nello menti.

Sono donne fragili?

Non sono donne fragili così come si potrebbe pensare. Sono lucide nonostante i loro profondi problemi psichici. Sono donne depresse ma non per questo non sanno fare della loro condizione la loro forza o trasformarla nel perno su cui guardare, pensare al futuro o alla soluzione più estrema.

Nella mente dell’assassina

Il film, presentato tra l’altro alla scorsa edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, tenta – anche attraverso l’uso di flash-back – di avvicinarsi quanto più possibile alle menti, alle vite di queste madri. Il regista ha tentato davvero di avvicinarsi all’animo femminile, al ruolo di madre, ha tentato di comprenderlo come ha tentato di capire quali possano essere le dinamiche che possono spingere una donna, una madre a uccidere la propria creatura.

Insoddisfazione? Depressione? Egoismo? Assenza di istinto materno? Queste possono essere solo mere supposizioni che NON possono assolutamente, in alcun modo, trasformarsi in giustificazioni. E forse è proprio questo l’anello debole della struttura narrativa.

Alla ricerca di una giustificazione?

Le protagoniste verso la fine del film, infatti, vengono quasi giustificate, scusate delle loro azioni..perché affette da una depressione post partum o perché la loro esistenza non si è rivelata quella che avevano sperato. Ma queste NON devono essere altre giustificazioni. I più recenti fatti di cronaca parlano da soli: uno per tutti Cogne! Come poter pensare che un terrore simile possa essere semplicemente risolto dicendo: “Beh, la signora era depressa.. forse non dormiva bene la notte e questo la irritava!”. E’ inaudito!

L’anello debole del film

E il film pare perdere di vista questo aspetto. Ovvero: anche se a uccidere è una madre questo non vieta alla donna di essere definita “assassina” poiché è stato ucciso un figlio o una figlia è vero..ed è stato vietato ad una creatura umana di poter crescere e di poter vivere! E in questo fatto non c’è depressione che vada giustificata.

Ed è un peccato che il film cada proprio su questo tranello: non è così che si aiutano le donne. E le madri non possono trasformarsi in Medea per amore del proprio figlio.. si trasformano in assassine perdendo immediatamente il loro privilegiato status di Madre.

Tra senso di colpa e impunità

Il regista è molto bravo ad equilibrare le quattro storie, le racconta con semplicità e riesce a coinvolgerci in ognuna di esse con uguale interesse e tristezza..eppure con tanta rabbia. Queste quattro donne sanno di convivere con un loro profondo e implacabile senso di colpa.. e questa è solo una parte della loro pena da scontare.. altrettanto implacabile. Purtroppo “Maternity Blues” non può essere considerato un inno alla maternità ma “Medea” non può e non deve essere lasciata impunita.

Né agli occhi della giustizia (terrena o divina che sia) né agli occhi dell’umanità.. né, ancora, agli occhi dei propri figli..di quelle creature cui nessuno aveva il diritto di disporre così brutalmente delle loro vite.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *