Per la rubrica dei registi emergenti presentiamo oggi un interessante documentario che descrive la crisi italiana da un punto di vista molto particolare, quello del numero di suicidi spaventosamente aumentati negli ultimi mesi. Il documentario ha come titolo Suicidio Italia e ne parliamo con il suo regista Filippo Soldi.
Filippo Soldi ha lavorato in teatro e in cinema in qualità di aiuto con Luca Ronconi, Werner Schroeter, Aurelio Grimaldi, Lino Capolicchio, Pino Quartullo, Diego Ronsisvalle e altri. Ha tenuto laboratori teatrali, firmato la regia di spettacoli teatrali e realizzato documentari. Per Rai Uno ha scritto la miniserie Bakhita con Stefania Rocca e Francesco Salvi mentre per RaiCinema ha realizzato i cortometraggi Esserci, con Ileana Argentin e Raz Degan, Storia di Mario con Ricky Memphis, Mio figlio con Claudio Santamaria e Alba Rohrwacher e Solo cinque minuti con Valeria Golino, vincitore del Festival NICE USA 2007 (che ha vinto anche nel 2003 con In tram, il suo primo cortometraggio in 35 mm con Piera Degli Esposti e Gigio Alberti) e del Festival Storie di Cinema. Nel 2011 ha realizzato il documentario Case Chiuse, presentato al Festival del Cinema di Roma e ora disponibile in DVD e sulla prima piattaforma current in download Own Air. Suicidio Italia è il suo ultimo documentario, anch’esso visibile sulla piattaforma Own Air.
Suicidio Italia
di Francesca Barile
Nel 2012 anno del governo tecnico guidato da Mario Monti il numero dei suicidi da parte di imprenditori o lavoratori è aumentato in maniera esponenziale. A ciò si aggiunge una crisi economica mai vista che ha portato alla chiusura di fabbriche ma anche alla messa in mobilità di lavoratori di aziende a partecipazione pubblica. Inizia come una docufiction ma è tremendamente vero.
Suicidio Italia in meno di un’ora con il piglio proprio di note trasmissioni di denuncia dà la parola alle vittime: le vedove di imprenditori che hanno scelto questo gesto di “estrema dignità” (come dice il sottotitolo del documentario), alcuni lavoratori in mobilità, alternandole ai pareri di illustri personalità italiane da Marco Travaglio a Paolo Barnard, da sempre contrario alle scelte del governo Monti, e con il contributo straordinario di Dario Fo, premio Nobel e ormai nume tutelare del nostro paese.
Toccanti le lettere di alcune lavoratrici e lavoratori licenziati perché non avevano più l’età (si tratta di persone tra i quaranta e i cinquanta anni ma non mancano trentenni) “recitate” con intensa partecipazione da Eugenia Costantini. Un documentario che freddamente espone, condanna, analizza e, affidando la conclusione alla canzone che accompagna i titoli di coda sembra non aprirsi alla speranza, ma forse è proprio questo atteggiamento che può spronare a una rivincita. Ottimo esempio di cinema verità e cinema denuncia destinato a far discutere e a rimanere negli arcihivi storici a futura memoria.
Le domande al regista
Ciao Filippo e benvenuto su cinemio. Parliamo del tema, abbastanza delicato, del documentario. Perché hai scelto di occuparti in prevalenza del suicidio? E’ forse una metafora della morte che il nostro paese sembra volersi dare scientemente?
Parlare di suicidi non è stata una scelta fatta da subito. Inizialmente la nostra intenzione era quella di raccontare un paese per il quale ci sembrava arrivato quel “domani” di cui parlavano i lavoratori di Alitalia durante la loro vertenza quando urlavano “oggi tocca a noi, domani tocca a voi”. Poi, nel contattare persone che avevano perso il lavoro o che vivevano momenti di difficoltà, siamo venuti in contatto con persone che, a causa di problemi legati al lavoro o alla situazione economica, avevano subito gravi lutti. Inevitabilmente queste situazioni hanno preso il sopravvento. Ma per noi sono state il punto d’arrivo di un percorso, non il punto di partenza.
Non so se questa sia una metafora della morte del nostro paese. Quando si è scelto di raccontare le storie di chi aveva subito un lutto di questo tipo, il nostro intento era solo quello di raccontare persone, i loro drammi, la loro vita. Certo, quando poi si sono messi insieme questi racconti, a tutti noi è sembrato che questi racconti fossero anche una metafora agghiacciante di quello che sta vivendo il paese. E non è stato piacevole arrivare a questa conclusione.
La maggior parte delle persone intervistate è di sesso femminile. E’ stato un caso o è una cosa voluta? E in tal caso perché?
È stato un caso, forse dovuto anche al fatto che fino ad un certo punto negli elenchi di persone che si erano tolte la vita figuravano solo nomi di uomini, quindi spesso mariti. Di recente siamo venuti a sapere, purtroppo, anche di una donna che si è tolta la vita per problemi legati alla situazione economica, ma la stragrande maggioranza dei suicidi “per crisi” è ancora composta da uomini. Forse questo rispecchia un’effettiva disparità di ruoli nel mondo del lavoro? O forse un diverso modo di affrontare i problemi della vita? Non so, è certo che in alcuni momenti mi sembrava di essere in un paese appena uscito dalla guerra con tutte le sue vedove.
Perché hai scelto di alternare le interviste e le scene delle proteste in tutto il paese a parti, sia pur brevi, solo “recitate” da Eugenia Costantini?
L’inserimento di parti da affidare ad un attore è dovuto al fatto che, in qualche modo, volevamo rendere evidente quello che era stato il nostro cammino. Noi siamo lavoratori dello spettacolo, quindi persone che, appartenendo ad un settore molto particolare, possono vivere la crisi in modo altrettanto particolare. Molti lavoratori dello spettacolo vivono in una costante precarietà, con garanzie lavorative spesso assenti. E questo vale oggi, ma è sempre stato così. Quindi la crisi noi la viviamo da sempre, per noi è cambiato meno che per altri.
A volte mi capita di parlare con persone che lavorano in ambiti “più normali” e che ora, per la prima volta, vivono l’ansia della precarietà. Queste persone, ora, mi dicono: “adesso capiamo cosa significa”. Dall’altro lato, né io né gli altri autori, Maria Teresa Venditti e Andrea Cancellario, avevamo mai avuto esperienza di cassa integrazione, di licenziamento… e questo volevamo poterlo affermare per non essere nella posizione di chi parla di una cosa senza averla vissuta. Il modo migliore, a nostro avviso, era quello di mettere in scena una persona che vive la nostra situazione e metterla in contatto con “gli altri”.
Inoltre, le parti di Eugenia sono lettere autentiche scritte da lavoratori che hanno perso il lavoro. Ed Eugenia le porge, ma, per scelta, non le “interpreta”. L’attrice, quindi, in questo caso è una persona più che un’attrice. Una persona che mette a disposizione le proprie capacità, la propria competenza tecnica per dare voce agli altri. Per me le parti di Eugenia sono un continuum rispetto alle interviste.
“Suicidio Italia” già dal titolo sembra non voler dare spazio a una speranza di rinascita. Ma qual è il parere di chi ha voluto realizzare questo lavoro?
Io posso solo parlare per me, non per gli tutti gli altri che hanno realizzato questo documentario insieme a me. Personalmente mi piacerebbe molto avere una speranza. Ma per essere una speranza reale e non una mera illusione, questa speranza dovrebbe poggiare su elementi concreti. Purtroppo, ora come ora, io non li vedo. Forse sono cieco, ma non li vedo. Forse chissà, la speranza di rinascita ha bisogno di un fatto cataclismatico che faccia cambiare pagina al nostro paese? Ma noi abbiamo la mentalità e la cultura per fare questo?
Ringrazio a nome di tutto lo staff di cinemio il regista Filippo Soldi con l’augurio di averlo presto nostro ospite per parlare di un suo nuovo progetto.