L’accabadora è il terzo lungometraggio del regista sardo Enrico Pau. Come già ci ha abituato nelle sue precedenti opere, il regista cerca di tramandare tradizioni e storie che appartengono alla Sardegna. La storia parla dell’accabadora, una figura mitologica che dispensava la Buona Morte ai malati terminali che gli chiedevano aiuto. Una delle pratiche più antiche dell’eutanasia che si tramandava di madre in figlia.
L’accabadora – Alla ricerca di un senso della vita
Annetta (Donatella Finocchiaro) è una donna sempre vestita di nero, con uno sguardo malinconico, che custodisce un enorme fardello che le è stato tramandato dalla madre, a cui lei non ha potuto sottrarsi quando era bambina. La storia è ambientata durante il periodo della seconda guerra mondiale. La città di Cagliari era sotto bombardamento, ed in mezzo a questo scenario di macerie e polvere inizia la ricerca di Annetta, di sua nipote Tecla (Sara Serraiocco), che è scappata dopo aver appreso la verità sul mestiere della zia. Questo sperare di ritrovarla in vita è un sentimento nuovo per lei, che le scuote l’anima. Su questo sfondo di desolazione, Enrico Pau cerca di tramandare un periodo buio della storia d’Italia, come pretesto per raccontare storie di personaggi realmente esistiti, facendogli un piccolo omaggio. Come il cameo di Carolina Crescentini nei panni dell’artista Alba ed anche la figura di un medico straniero che visse a Cagliari proprio in quel periodo, affidato al volto dell’attore Barry Ward.
Morte, guerra e amore
Quello che colpisce sono i volti segnati di queste persone che sembrano non avere più un domani. Solo chi l’ha vissuto, può capire cosa significa la guerra. Doversi nascondere nei sotterranei e sperare che la bomba non cada sopra la tua testa. Questo è il sentimento di profonda angoscia che ti tramanda il film e se incrociamo uno di questi immigrati che scappano da situazioni analoghe possiamo ritrovare quello stesso sguardo. Spesso non ci rendiamo conto delle condizioni di vita e psicologica a cui sono costretti.
L’arte delle immagini
L’amore per la sua terra emerge attraverso queste immagini molto potenti e suggestive, con delle inquadrature che ritraggono paesaggi che danno la sensazione di fondali dipinti, come se fossero degli enormi affreschi. Questo effetto è stato voluto dal regista che ha cercato di ricreare dei quadri all’interno di alcune inquadrature, facendo un omaggio alle opere degli artisti Giuseppe Biasi, Melkiorre Melis e alle sorelle Coroneo.
E’ decisamente un film d’autore, che lascia molto spazio allo scorrere del tempo, con poco montaggio, immagini di panorami infiniti e primi piani di facce interessanti. Ricorda molto per lo stile il cinema di Ermanno Olmi.
L’accabadora è nelle sale dal 20 aprile 2017