La zuppa del demonio recensione

Speciale Sudestival: La zuppa del demonio di Davide Ferrario

Penultimo appuntamento con i film in concorso al Sudestival 2015. Oggi parliamo de La zuppa del demonio di Davide Ferrario. Nell’articolo la recensione della giuria dei giovani, l’intervista al regista e, in coda, la recensione di Arance e martello di Diego Bianchi, proiettato la scorsa settimana.

La zuppa del demonio recensione

La zuppa del demonio

La zuppa del demonio

La zuppa del demonio più che un docu-film è un documentario a pieno titolo. Davide Ferrario, il regista, costruisce per gli occhi degli spettatori un delicato excursus sul mondo del progresso del Novecento, lasciando vasti spazi di analisi. Cos’è il progresso? O meglio, cosa il progresso comporta? È questa la domanda che abbraccia tutto il documentario.

Il progresso, in particolare quello industriale, è lo schiacciasassi del Novecento, come a tratti viene fisicamente presentato nel documentario, o è qualcosa di cui pentirsi e vergognarsi per certi aspetti, come le auto nel mare? È felicità sotto forma di gas, petrolio e ferro o illusione per un mondo perfetto?

Ognuno la pensi come vuole! Se l’intento del documentario è per definizione documentare e insegnare, Ferrario lo fa bene. Sfrutta il materiale a sua disposizione in modo intelligente. Fa immedesimare i giovani nel passato e rivivere il passato a chi è più avanti negli anni. Sicuramente lo fa grazie ad un buon montaggio si Cristina Sardo e alla musica che detta i tempi della narrazione come il metronomo che appare nelle immagini.

Bella è l’idea di affidare la narrazione alle voci originali di quegli anni. Il documentario funziona tuttavia non mancano tempi morti e un po’ ad effetto soporifero.

MARCO GENUALDO, VA Liceo Scientifico “IISS Galileo Galilei”

La zuppa del demonio Davide Ferrario

Davide Ferrario con il direttore artistico del festival Michele Suma

L’intervista al regista

Il documentario nasce da un soggetto di Sergio Toffetti e, oltre la regia, ne ha curato anche la sceneggiatura. Può raccontarci la genesi del progetto?

E’ stato appunto Sergio, direttore dell’Archivio Cinema d’Impresa, a insistere perché guardassi il loro materiale. Sergio ha un’idea “viva” dell’archivio, non semplicemente come deposito. Quando ho visto i materiali mi è subito venuta l’idea di raccontare la storia del progresso nel ‘900, perché i film erano una straordinaria testimonianza diretta dell’utopia che aveva accompagnato il secolo.

Più che quello che raccontano è interessante come lo raccontano. La zuppa del demonio non è un film storico, è un film sulla retorica del linguaggio. Una volta stabilito il tema del film, si è trattato di trovare il materiale “giusto” e di montarlo, un processo che è durato circa un anno e mezzo.

Parliamo della fase di produzione del documentario. Com’è andata? Può raccontarci qualche dettaglio in più su stesura della sceneggiatura e montaggio?

All’inizio prevedevamo non un ordinamento cronologico, ma geografico, e cioè indagare i poli della produzione industriale in Italia dal nord al sud. Ma poi abbiamo optato per uno schema più semplice e più chiaro, perché questo schema restituiva meglio la cavalcata inarrestabile del progresso.

Ci siamo divisi in due: io e Cristina Sardo lavoravamo sulle immagini, Giorgio Mastrorocco si occupava della parte letteraria, andando a cercare il filo rosso del rapporto tra intellettuali e industria dal futurismo in poi. Ma l’elemento chiave che dà al film la sua identità è secondo me il lavoro sulla musica, sia nel rimontaggio delle colonne sonore originali, sia nei pezzi scritti apposta da Fabio Barovero, che costruiscono una sorta di incantamento psichedelico.

La zuppa del demonio è ricco di immagini dei documentari del cinema industriale e di citazioni letterarie. Sembra quasi che lei abbia voluto lasciare spazio ad immagini e parole di altri senza interferirne. E’ così?

Beh assolutamente sì. La mia scelta è stata di rispettare la natura del materiale originale senza forzarlo a dire cose che non voleva dire, ma dall’altra parte il montaggio è il mio modo di commentare quelle immagini senza aggiungere parole. D’altra parte, lo stesso distacco temporale offre già un commento, uno spaesamento. Vedere gli olivi abbattuti a Taranto cinquant’anni fa dava un senso di soddisfazione e di forza, oggi ci fa spavento.

La zuppa del demonio film

Che messaggio voleva lasciare allo spettatore?

Nessun messaggio, odio i film con il messaggio. Lo spettatore deve usare la sua testa. Io volevo piuttosto comunicare un sentimento che, come quasi tutti i sentimenti, è ambiguo e contraddittorio. Da una parte proviamo orrore per il prezzo che si è pagato per il progresso, per le illusioni che lo hanno accompagnato per decenni.

Ma dall’altra parte c’è una sorta di rimpianto per la straordinaria forza ed energia di un sogno che voleva cambiare il mondo e che – in larga parte – l’ha fatto davvero. Le parole di Giorgio Bocca alla fine sono illuminanti:

“Le cose che allora ci sembravano bellissime oggi ci appaiono orrende; però erano tempi felici”

Sembra che ultimamente si stia dando, fortunatamente, più spazio al documentario. Che ne pensa? Potrebbe il documentario diventare un modo anche più efficace di far comprendere ai giovani il passato e la realtà presente?

Personalmente, penso sia sempre stato così. Il documentario è più interessante del cinema di finzione. E in Italia stiamo vivendo un momento particolarmente felice in questo senso.

E per concludere uno sguardo al futuro. C’è già un nuovo progetto nel cassetto? Documentario o film di finzione?

Entrambi: un documentario, due film di finzione e una cosa indefinibile tratta da un balletto. Ma non mi sono mai posto il problema dei generi. Il punto è un altro: trovare lo strumento giusto per raccontare una storia. E poi, c’è sempre un pezzo di finzione nel documentario e viceversa.

Ringrazio Davide Ferrario per la disponibilità a raccontarci i retroscena di La zuppa del demonio.

Prima di chiudere e dare appuntamento alla prossima settimana per l’ultima intervista dal Sudestival 2015 segnaliamo la recensione di un altro film in concorso: Arance e Martello di Diego Bianchi.

arance e martello

Arance e martello di Diego Bianchi

Sulle atmosfere di Fa la cosa giusta di Spike Lee, Diego Bianchi, regista ed attore, propone una gustosa commedia ambientata nel quartiere di San Giovanni a Roma. Un gruppo di attivisti della locale Sezione del PD vuole contribuire alla raccolta di dieci milioni di firme per far dimettere Silvio Berlusconi e piazza il suo banchetto accanto ad una pescheria del mercato, in uno dei più assolati giorni di agosto degli ultimi 150 anni.

Ma si sa, un giorno non è come un altro e la radio della zona annuncia la notizia dell’imminente chiusura del mercato, lasciando i commercianti ed acquirenti senza parole, ma soprattutto senza lavoro! Da qui prendono vita una serie di situazioni rocambolesche che vedono fianco a fianco commercianti e attivisti nella lotta comune contro il sindaco e l’amministrazione per scongiurare la chiusura del mercato. Non mancano scene, di scottante attualità, di scontri violenti tra polizia e dimostranti.
Diego Bianchi, nei panni di se stesso, riprende il tutto con la sua videocamera, compresi gli scontri tra fascisti e comunisti.

Arance e martello è un film che coniuga sapientemente la riflessione acuta e pungente sulla crisi politica di un partito storico italiano come il PD e quotidianità, con un linguaggio diretto e avvincente. Un film simpatico che tra una risata e l’altra chiarisce molti aspetti politici del nostro tempo e non solo. Film consigliato, abbastanza divertente, come lo sono stati gli attori, sopratutto lo stesso Bianchini. Buona visione!

ISABELLA PETROSILLO, IIIB Liceo Classico “IISS Galileo Galilei”

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