Arriva direttamente da una lunga e difficile produzione un nuovo film con protagonista Pier Paolo Pasolini stavolta curiosamente interpretato dal cantante e showman Massimo Ranieri, diretto da David Grieco, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa per raccontare l’ultimo (e tanto narrato) ultimo periodo della vita del regista di Accattone. Arriva nelle sale La macchinazione.
La macchinazione
Negli ultimi mesi della sua vita, vediamo Pasolini (Massimo Ranieri) alla prese con il difficoltoso montaggio del suo film “Salò (o le 120 giornate di Sodoma)” e nella stesura del romanzo “Petrolio”. Parallelamente frequenta un giovane ragazzo legato al mondo criminale di una Roma notturna e incattivita.
Trailer del film “La macchinazione”:
La maschera
È doveroso premettere che lo sguardo della regista di questo film, David Grieco, è quello di un uomo che ha conosciuto Pasolini: lo ha vissuto da ragazzo, è stato attore per lui, poi sceneggiatore per Sergio Citti (a cui questo film è dedicato), e la prospettiva del racconto che viene proposta in questa ‘macchinazione’ risulta dunque, per quanto a tratti acuta, grossolana su due punti: troppo verbosa da una parte e visivamente debole e incoerente dall’altra, oltre che inutilmente ‘sperimentale’, cadendo in una regia televisiva che deturpa persino la bravura di un cast che ha dalla sua una base solida (laddove teatrale nel caso di Ranieri) che non avrebbe guastato al manto del racconto.
Massimo Ranieri torna a gamba tesa nel cinema nostrano, troppo presto (come puntualizza il regisa) dimenticato e ‘relegato’ al palcoscenico.
La domanda
In un’ora e trentacinque circa di film, Grieco cerca di rievocare con taglio quasi documentaristico la quotidianità di un Pasolini diviso tra il montaggio di quello che sarebbe stato poi il suo ultimo film, la stesura di un romanzo che mai avrebbe finito e la relazione con un ragazzo, Pino Pelosi, che sarebbe poi risultata cruciale per la sua fine. Grieco non si schiera da nessuna delle tante parti che hanno fatto della morte di Pasolini il fulcro di discussioni infinite.
Ha dalla sua, diversamente dal (brutto) film di Abel Ferrara, la voglia di non incentrarsi sugli appetiti sessuali o sul Pasolini che “scandalizza”, quanto su un uomo per bene, che gioca a pallone con gli amici, che ama e che fa della sua curiosità un’arte e un mestiere.
La risposta
Il problema sta proprio quando dall’idea di base David Grieco che presenta un copione verboso e spesso incerto nel tono dove vuole inserire così tanto che alla fine del film non riesce a concentrarsi davvero su nulla, indeciso tra le lunghe scene verbose e spesso dal sapore barocco, esagerati (e poco utili) spazi dedicati alla gente che gira attorno a Pino Pelosi e sperimentalismo sull’immagine che stona con la congruenza del personaggio raccontato.
Un’eccessiva voglia di vedere, di essere minuziosi e perdere l’idea d’insieme e la costruzione finzionale fino, appunto, alla scena della morte all’idroscalo, dove un’eccessiva voglia voyeristica del regista porta a strabordare nell’intento di portare uno sguardo testimone come prova tangibile di un film sincero che invece risulta essere solo incerto, confuso, male amalgamato, che toglie agli attori lo smalto e al pubblico la voglia di credere che possa ancora esserci la necessità di dover raccontare la storia di un grande regista nostrano.
La macchinazione: Forse sarebbe stato meglio mettere insieme il materiale per un documentario in merito o, senza essere troppo cattivi, andarsi semplicemente a rivedere i film del maestro Pier Paolo Pasolini.