È in concorso al Bif&st di Bari nella sezione ItaliaFilmFest/ Opere prime e seconde, la favola magica La guerra dei cafoni di Lorenzo Conte e Davide Barletti. Dal 27 aprile al cinema.
La guerra dei cafoni
recensione di Francesca Napola
La guerra dei cafoni è ispirato all’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis, dove si riscontrano dei riferimenti narrativi come il prologo, ambientato in epoca medievale con la netta distinzione fra il padrone e il cafone, un santo protettore dei cafoni Papaquaremma, un cane di nome Mosè e un ragazzo e una ragazza, il cui amore impossibile ricorda Romeo e Giulietta.
Siamo nel 1975 a Torrematta, un territorio selvaggio e sconfinato della Puglia con aride campagne, ulivi, muretti e il mare sullo sfondo, e, nessuna traccia di adulti. Ogni estate, qui si combatte una lotta tra bande: da una parte i figli dei ricchi, i signori, e dall’altra i figli della terra, i cafoni. A capo dei rispettivi schieramenti ci sono i due capi: Francesco Marinho (interpretato da Pasquale Patruno), detto il Maligno e Scaleno (interpretato da Donato Paterno). Si combattano dalla nascita trascinando con loro nel conflitto di classe i propri “soldati”.
Ma quell’anno i cafoni decidono di ribellarsi alla supremazia dei signori. I simboli del potere verranno attaccati, presi di mira e lo scontro diventerà una vera propria guerra di conquista. I cafoni saranno aiutati dal terribile Cugginu (interpretato da Angelo Pignatelli), che introduce in questa lotta di potere violenza fisica, morte, odio, pregiudizio. Così i simboli del potere dei signori e di Marihno (il motorino, la fortezza, la fidanzatina, il flipper) saranno attaccati dai cafoni, che combattono per riscattarsi e essere simili ai signori.
Marinho vuole assolutamente combattere i cafoni, li odia e porta con sé nella lotta i suoi soldati; ma, c’è un cambiamento ad attenderlo: l’affetto per Mela (interpretata da Letizia Pia Cartolaro), una giovane cafona che farà cadere tutte le convenzioni di Marinho. Ma la lotta continua tra le due fazioni e diventa una guerra di supremazia tra Marinho e Cugginu che serve a definire se stessi invece di cambiare lo status sociale. E solamente nella figura dei più piccoli, in particolare in quella di Tonino (un brillante Piero Dionisio) che con la sua ingenuità e ironia si intuisce l’inutilità di questa lotta.
Ritengo che La guerra dei cafoni sia un romanzo di formazione dove i due registi hanno saputo ben mettere in scena la lotta di classe che non è altro che una lotta di crescita. Ciò che ho amato nel film è l’assenza assoluta degli adulti, ad eccezione di una brevissima sequenza iniziale di Claudio Santamaria e al ruolo di Ernesto Mahieux (gestore del capanno/bar); infatti, sono i ragazzi che dominano nella pellicola, tutti pugliesi, provenienti dalle diverse zone della regione. Ho apprezzato tanto l’uso del dialetto da parte dei protagonisti soprattutto la scelta di rappresentare tutte le varietà presenti in Puglia compreso il greco bizantino nel prologo.
Inoltre, bisogna ricordare come gli stessi registi hanno dichiarato, che tutto il film non è stato altro che un laboratorio per attori, i protagonisti sono tutti adolescenti non professionisti, che hanno lavorato per un anno e imparato cosa vuol dire fare cinema. Un film reale e crudo con un cast che riesce a esprimere in modo fluido ciò che ha da dire pur in una conclusione sfumata.