Speciale BIF&ST: ‘Dreaming Apecar’ di Dario Leone – prima parte

Oggi presentiamo una lunga chiacchierata con Dario Leone, regista che ha partecipato al BIF&ST 2013 con il cortometraggio Dreaming Apecar, dal soggetto molto particolare.

Laureato con lode in Cinema al D.A.M.S. dell’Università degli Studi di Bologna, Dario Leone ha iniziato la sua carriera come attore lavorando con Guido Chiesa, Davide Ferrario e Daniele Gaglianone. Dopo un  apprendistato come assistente alla regia per la Rai, nel 2004 ha girato il documentario Lacrima Inchiostro – tracce di Cesare Pavese, vincitore del MedVideoFestival 2005. Dal 2008 è responsabile video dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, dove insegna “Tecniche filmiche” e realizza documentari e video antropologici. Nel 2010 ha vinto il Premio Solinas – Talenti in Corto 2010, per il quale ha diretto il cortometraggio Adina e Dumitra, che ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Coos Corto Dorico 2010. Dreaming Apecar è il suo ultimo cortometraggio vincitore di vari premi.

Dreaming Apecar

Caterina (Lorenza Indovina) è una donna sulla quarantina alla ricerca di un lavoro. Le possibilità non sono molte così accetta il posto da badante di Gheorghe,un anziano rumeno. Gheorghe non parla italiano, non vuole stare in Italia ed ha modi molto ruvidi. Nel combattere con le sue abitudini ed il suo modo di fare, Caterina si ritroverà ad entrare in un mondo, quello della comunità rumena in Italia, assolutamente sconosciuto per lei.

Ben sceneggiato e ben girato, Dreaming Apecar è un cortometraggio davvero molto interessante. Ottime le interpretazioni dei protagonisti, tutti rumeni ad eccezione della straordinaria Lorenza Indovina, ‘badante per caso‘ alle prese con le fisse di un cocciuto ottantenne. L’inversione dei ruoli e dei punti di vista accompagna lo spettatore alla scoperta di un mondo sconosciuto, dimostrando come, alla fine, la chiusura e la paura dell’altro dipenda semplicemente dalla poca conoscenza delle sue abitudini. Da segnalare la cura delle inquadrature e dei piani sequenza, in particolare quello finale, della corsa di Caterina che dimostrano la maturità registica dell’autore.

durante le riprese

Le domande al regista

Ciao Dario, benvenuto su cinemio. Dreaming Apecar ha al centro della storia un ribaltamento di ruoli molto particolare. Vuoi raccontarci un pò la genesi del corto?

Partendo dal presupposto che Torino si è spesso dimostrata il laboratorio di evoluzioni sociali, economiche e politiche che hanno poi coinvolto l’intera nazione, siamo partiti da alcuni dati che riguardano proprio la città di Torino: il primo è che la comunità rumena residente in città è il 10% del totale, il secondo è che la presenza di rumeni che lavora nel settore edile, come operai o imprenditori, è la più alta del paese, al punto che il rumeno è quasi diventato la lingua più parlata nei cantieri. Un terzo dato riguarda la crisi economica che si abbatte con sempre più forza in tutta l’Italia e quindi anche a Torino creando un numero sempre maggiore di ‘nuovi poveri’, ossia coloro che prima erano abituati a vivere nel benessere e che ora si trovano impreparati e a fortemente a disagio nell’affrontare la nuova situazione di povertà. La normale conseguenza della crisi economica è il cambiamento e, come già dimostra la contemporaneità, ci saranno nuovi poveri e nuovi ricchi.

Dreaming Apecar, che è la storia di una badante italiana e di un anziano assistito rumeno, prende come spunto iniziale questi dati e con leggerezza prova a raccontare un possibile cambiamento sociale di ruoli ribaltando lo schema più comune dell’italiano vantaggiato e dell’immigrato svantaggiato.

L'attrice Lorenza Indovina

Io e la sceneggiatrice Chiara Nicola avevamo già affrontato, in chiave di commedia, il tema delle badanti con il nostro precedente cortometraggio Adina e Dumitra. Per realizzare questo secondo film abbiamo così intrapreso un lungo percorso di conoscenza della Romania, dei rumeni e della realtà rumena a Torino. Non abbiamo cercato di arrivare ad una conclusione o ad una generalizzazione, c’era in noi la curiosità di conoscere una cultura simile alla nostra ma con una storia alquanto diversa e abbiamo trovato un paesaggio fatto di tante storie. Abbiamo conosciuto associazioni come “Fratia” o persone comuni che ci hanno raccontato la loro vita, i momenti di intima difficoltà che hanno affrontato, i loro desideri e sogni, e ognuno ci ha lasciato i tanti tratti e gesti che contraddistinguono le loro singole vite quotidiane.

Abbiamo capito che non c’è grande differenza fra noi e i rumeni e forse il mondo è proprio così, fatto di persone simili che sognano cose simili. Così da una storia che inizialmente sembrava voler parlare di integrazione fra due mondi diversi, pur partendo da un’idea di ribaltamento dei ruoli, si è spostata verso una storia che racconta l’apertura verso i cambiamenti, dove l’unico modo per non restare travolti da un mondo in evoluzione è proprio accettare il cambiamento e lasciarsi trasportare da esso, dovunque vada. Il fatto di intervistare persone per conoscere meglio la Romania è stata per noi l’occasione per avere “accesso” alla vita di molte persone, che altrimenti ci sarebbero passate a fianco per strada senza considerarci. Ed è anche di questo che abbiamo voluto parlare: la difficoltà di conoscere altre persone, di conoscere le loro storie e di farsi conoscere a propria volta. Caterina, che è il personaggio protagonista del corto, è un personaggio di cui non si conosce la storia passata, che sembra non avere relazioni oltre a quelle che ha sul lavoro che è costretta a fare e questo è stato creato proprio nel tentativo di raffigurare una condizione sociale attuale: quella della mancanza di curiosità per le storie degli altri, dove il passato degli altri non sembra importante rispetto al presente in cui le relazioni vengono vissute, relazioni che peraltro sono spesso spinte da una qualche ragione di utilità.

Il protagonista Mircea Andreescu

Anche la scelta di non sottotilare le parole, tutte in rumeno, dell’anziano rumeno Gheorghe, è stata presa per segnare ulteriormente la difficoltà di Caterina nel comprendere una lingua sconosciuta, una difficoltà che prova così anche lo spettatore e che rende ancora più forte e simbolica la difficoltà che si fa nel conoscere e capire gli altri. C’è una frase del personaggio Ionel, il figlio di Gheorghe, che riassume questo concetto: “non basta parlare la stessa lingua per capirsi”.

Quello che abbiamo cercato di raccontare con questo cortometraggio è che le persone non sono quello che sembrano, che possono nascondere un mondo sorprendente e che, aprendosi a conoscerle, si può imparare qualcosa e forse anche cambiare in meglio la propria vita.

Il regista Dario Leone

Termina qui la prima parte della chiacchierata con il regista Dario Leone. Continua a leggere la seconda parte.

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