Registi emergenti: intervista a Francesco Cordio e Paolo Pagnoncelli

In occasione dell’uscita di Inti-Illimani: Dove cantano le nuvole, diamo il benvenuto nella nostra rubrica ai registi emergenti Paolo Pagnoncelli e Francesco Cordio che ci raccontano la genesi del loro interessante documentario.

I registi

Francesco Cordio è regista di numerosi spettacoli teatrali, autore, regista e montatore di documentari e videoclip musicali. Nel 2007 ha realizzato con Paolo Pagnoncelli il documentario Inti-Illimani, donde las nubes cantan mentre nel 2010 ha curato un documentario sugli ospedali psichiatrici giudiziari, che gli è valso la menzione speciale al premio Ilaria Alpi 2011 ed il Primo Premio Assoluto ed il Premio Speciale della Giuria di qualità, sezione TV, Anello Debole 2011.

Paolo Pagnoncelli ha iniziato la sua attività come scrittore ed ha diretto il suo primo cortometraggio nel 2001. Dopo Inti-Illimani, donde las nubes cantan ha continuato la sua carriera di documentarista con il documentario-inchiesta Le porte sono aperte sulle morti bianche e videointerviste a numerose figure di spicco della scena internazionale e italiana tra cui Noam Chomsky, Gore Vidal, Mario Monicelli, Margherita Hack e Tonino Guerra.

Un'immagine del backstage

L’intevista

Paolo, Francesco, come siete arrivati all’idea di un documentario su gli Inti-Illimani?

E’ stato veramente un caso. La scintilla l’abbiamo avuta dopo l’incontro fortuito con il tour manager degli Inti-Illimani, Hernan. Raccontandolo in giro abbiamo avuto modo di capire che quello che ronzava nei nostri ricordi di bambini era ancora vivo nelle emozioni dei nostri genitori e di molti loro coetanei.

Per comprenderli appieno bisognava essere coinvolti in un periodo storico, com’è stato quello degli anni Settanta, in cui la sensibilità e l’attrazione verso l’altro rappresentavano un’opzione sine qua non nella lotta contro l’imperialismo e i regimi fascisti. In questo contesto gli Inti-Illimani, coi loro ponchos e la loro musica andina, rappresentavano una voce di speranza e di lotta.

Quando glielo abbiamo proposto loro si sono mostrati subito interessati. Così abbiamo cominciato. Gli Inti-Illimani che ci siamo trovati davanti, però, erano cambiati da allora, come tutto attorno a noi.  Fin dal primo incontro ci hanno chiesto di mettere l’accento sulla nuova formazione e di cercare di evitare il problema della scissione che avevano avuto nel gruppo. Era il nostro primo lavoro e abbiamo accettato.

Il musicista Marcelo Coulon

Gli Inti-Illimani fanno tour in tutto il mondo. Com’è stato girare seguendoli?

All’inizio un po’ stressante e corrisponde alla fase del viaggio in Italia. Le tappe italiane erano prevalentemente per fiere di paese e i fan, di ogni età, quasi tutti dei nostalgici. Lo scenario che ci si apriva di fronte non era entusiasmante e il discorso della rigenerazione del gruppo con nuovi strumenti e nuove melodie non trovava il favore del pubblico italiano, così legato a El Pueblo Unido.

La cosa non faceva piacere a Jorge Coulon e trovava l’apice dell’ironia in Efren Viera, percussionista cubano in rotta con il comunismo che ad ogni concerto riponeva le bacchette e non la eseguiva. Eravamo incerti su molte cose, tutto era a nostro carico e si trattava di rompere il ghiaccio con loro. In Cile è stato diverso: ci hanno ospitati nel loro Pullman e li abbiamo seguiti nel tour che facevano per la campagna elettorale della Bachelet.

Gli Inti nel loro Paese sono una vera leggenda! Abbiamo visto persone piangere nel vederli ed ascoltarli.

Quanto tempo siete stati fianco a fianco con loro?

Quattro mesi serrati, poi li abbiamo ricontrati a più riprese nell’arco di un anno.

Daniele Silvestri con gli Inti-Illimani

Avete avuto particolari difficoltà durante la lavorazione del documentario?

Si dal momento che abbiamo girato con tre videocamere differenti e nessuna strumentazione audio, se non un semi direzionale valido per le interviste e un’asta. Il problema più grande era come prendere l’audio ai concerti.  Fortunatamente il concerto di Silvestri a Capannelle ci ha salvati. Lo abbiamo girato circa un anno dopo.

Non sarà stato semplice recuperare tutte le informazioni e poi seguirli in giro per concerti ed intervistarli…

Si, la lista per le ricerche d’archivio era lunga, ma fortunatamente in Cile avevano una documentazione video e una rassegna stampa dalle origini ad oggi. Ovviamante ne abbiamo approfittato.

C’è qualche aneddoto simpatico o particolare che vi va di raccontare?

Gli aneddoti sono molti, dall’anziana albergatrice che al chek out ha estratto da sotto il bancone il loro disco per farselo autografare, a Mario Pantoni che alla fine delle riprese a Taranto è stato accerchiato da gente che gli chiedeva l’autografo scambiandolo per uno del gruppo. Se c’è una cosa che però colpisce è Efren Viera, il percussionista, cubano e radicalmente anti comunista che si rifiuta di eseguire El pueblo unido.

Qual’è stato il riscontro di pubblico che avete ottenuto?

Tutte le volte che lo presentiamo riscontriamo un notevole calore. Le persone si appassionano alla storia, vogliono comprare il dvd, si mostrano curiosi dell’esperienza.  Il documentario è stato poi è stato in molti festival.

Il musicista Jorge Coulon tra i registi Francesco Cordio e Paolo Pagnoncelli

Prima di concludere voglio salutare e ringraziare a nome di tutta la redazione di cinemio Paolo Pagnoncelli e Francesco Cordio e rimando i lettori curiosi alla pagina web del documentario.

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