Nuovo appuntamento con il Sudestival 2016 e dei film in concorso. In questo articolo parliamo di Bolgia Totale, opera prima del regista Matteo Scifoni che ci ha concesso un’intervista.
Bolgia Totale
Bolgia totale, opera prima del regista Matteo Scifoni, noir che erroneamente potrebbe essere definito un poliziesco. La trama si sviluppa sul parallelismo fra due vite, quella di un ispettore prossimo al pensionamento, interpretato da Giorgio Colangeli, e quella di un fuorilegge con disturbi psicologici, interpretato da Domenico Diele. I personaggi, rispettivamente Quinto Cruciani e Michele Loi, sembrano non poter avere nulla in comune, ma così non è…
L’incontro tra i protagonisti avviene quando l’ispettore capo Bonanza affida a Quinto il compito di sorvegliare i due spacciatori (uno dei quali è Michele), fermati in seguito ad una operazione antidroga. Michele riesce però a fuggire e da qui si dipana l’intreccio sapientemente costruito tra suspance e avventura. Il film ricco di citazioni e rimandi fa esplicito riferimento a Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone, come si evince dalla intensa ‘scena dello specchio’ in cui Michele ascolta la propria coscienza, personificata in un ipotetico Clint Eastwood nel ruolo del “Biondo”, a sottolineare i disturbi psichici da cui è affetto.
Le storie dei protagonisti continuano a scorrere parallele e si incontrano solo alla fine del film. La proiezione termina con i puntini di sospensione, lasciando il futuro dei personaggi non tanto indefinito quanto implicito.
Bolgia totale, a detta del produttore D. T. Lombardi, ospite in sala, non ha riscosso molto successo qui in Italia, ma ha riscontrato pareri positivi al festival di Annecy Cinema Italien, Compétition Fiction (Francia, 2014).
Forse il pubblico italiano non è ancora pronto a pellicole di questo genere, Monopoli ha comunque espresso il proprio parere. Positivo o negativo, si scoprirà solo alla fine del Festival!
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Intervista al regista Matteo Scifoni
Ciao Matteo, benvenuto su cinemio. Innanzitutto parlaci di te: sei giornalista, critico cinematografico, sceneggiatore e anche scrittore. A cosa è legata la scelta di volerti cimentare anche dietro la macchina da presa?
In realtà ho sempre fatto anche il regista, il primo corto l’ho girato che avevo 14 anni. Ne ho fatti in tutto una dozzina, di corti, prima di Bolgia totale. Che, ci tengo a dirlo, è un piccolo film indipendente, costato circa 130mila euro e girato quasi clandestinamente in 20 giorni, senza contributi statali e senza distribuzione in partenza.
Per Bolgia Totale, il tuo primo film, di cui sei anche autore di soggetto e sceneggiatura, hai scelto il genere noir: puoi raccontarcene la genesi?
La genesi è da ricercare nella mia passione per il cinema di genere e nel desiderio di raccontare un tipo di umanità marginale e periferica. Il noir in particolare è un genere che adoro più o meno in tutte le sue declinazioni, da quello classico hollywoodiano ai polar francesi a quelli nostrani di Fernando Di Leo. Ho una venerazione per scrittori come Donald Westlake, Charles Willeford, Edward Bunker, Jim Thompson, Elmore Leonard, David Goodis, gente che ha fatto toccare a questo genere vette di eccellenza irraggiungibili per noi comuni mortali. Ho inoltre sempre avuto enormi problemi con un certo tipo di cinema, diciamo istituzionale, diciamo edulcorato, che si fa in Italia. Avendo pochissimi soldi a disposizione ma totale libertà creativa, ho deciso di assecondare fino in fondo le mie inclinazioni e/o ossessioni, che mi portano naturalmente verso questo tipo di storie.
I personaggi e le ambientazioni di Bolgia Totale ricordano quasi il genere fumettistico? E’ così? E’ una scelta voluta?
Sì, anche se i personaggi si muovono in un contesto di assoluta verosimiglianza, non volevo fare un film legato per forza a certi schemi di realismo tipici del cinema italiano. Mi interessava più fare del cinema-cinema, e in questo il film ha molto a che fare col fumetto e con certo cinema americano. Paradossalmente, poi, spesso attraverso il genere (in questo caso il noir, ma vale anche per l’horror, il thriller, la fantascienza) si riesce a raccontare la realtà meglio che in qualsiasi meditabondo film “impegnato”.
Parliamo dei protagonisti del film. Come hai scelto Giorgio Colangeli e Domenico Diele? E come hai lavorato con loro sulla psicologia dei personaggi i cui ruoli a volte quasi si ribaltano?
Avevo già avuto il privilegio di lavorare con Giorgio Colangeli in un mio corto di qualche anno fa intitolato Betty Boop, ci lega un rapporto di stima e amicizia e il personaggio di Quinto l’ho scritto proprio su di lui. Mi fa anche molto piacere detenere un piccolo primato: questo è il primo film della sua carriera in cui è, come si diceva un tempo, il primo nome in cartellone. Giorgio secondo me è uno dei migliori attori italiani in attività, ai livelli dei vari Servillo e Castellitto, ma è in genere spaventosamente sotto utilizzato dal cinema italiano. Domenico Diele l’ho scelto dopo averlo visto in Acab e dopo che ha fatto un provino, mi sembrava perfetto per la parte.
Pur nelle ristrettezze di budget e quindi di tempo, ho cercato di dedicare la massima attenzione al lavoro con gli attori. Il loro apporto era fondamentale, perché il film è molto dialogato e più basato sui personaggi e sulle psicologie che non sulla trama in senso stretto. Abbiamo fatto due settimane di prove prima di girare e discusso lungamente i personaggi, e come preparazione ho dato loro una lista di film e libri da vedere e leggere. Sono molto soddisfatto del cast nel suo insieme, anche nei ruoli minori ho avuto la fortuna di avere dei bravissimi attori.
La scelta della ragazza muta, interpretata da Xhilda Lapardhaja (Zoe) con la quale la comunicazione non verbale diventa condivisione più profonda, è nata già dall’inizio o si è trasformata nel tempo?
Nelle prime stesure della sceneggiatura Zoe parlava, anche parecchio. Poi mi è venuto in mente questo handicap del mutismo da attribuirle, perché mi sembrava che accentuasse i problemi di comunicazione del personaggio di Loi. Mi sembrava anche paradossale e divertente che Loi, questo sciroccato che invece è molto loquace, fosse innamorato di una persona con la quale non può parlare e che non capisce. E’ una scelta che ho fatto anche perché sapevo di avere Xhilda per quella parte, che è un’attrice a cui non servono molte parole per comunicare, tanto che diversi spettatori hanno pensato che fosse muta davvero.
Bolgia Totale è la tua opera prima. E ora cosa ti aspetta? C’è già una nuova sceneggiatura nel cassetto?
Il cassetto è pieno di storie e spero di riuscire a partire con un nuovo film entro l’anno. Magari un altro noir.
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