ACAB: Può la violenza essere giustificata?

Esce oggi al cinema ACAB esordio sul grande schermo di Stefano Sollima. Nel cast Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti e Domenico Diele. La redazione di cinemio lo ha visto in anteprima e vi propone ben tre recensioni. Inoltre puoi anche leggere le interviste ai protagonisti del film.

Da vedere e far vedere…soprattutto ai giovani

di Chiara Ricci

ACAB: acronimo di “All cops are bastards” ovvero,  “tutti i poliziotti sono bastardi” è tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini. La trama, infatti, è tutta ben concentrata in questo titolo e racconta delle vite, dei problemi e del lavoro di un gruppo di celerini.

Cobra (Pierfrancesco Favino) è il più estremista del gruppo, quello apparentemente più solitario e più impulsivo, che nutre una vera adorazione per Benito Mussolini – con busti in bella vista per casa, poster che inneggiano “A me!” – e che non dimentica mai di avere una divisa..anche quando non la indossa.

Negro (Filippo Nigro) un uomo  in lotta con la moglie cubana per il divorzio e per la custodia di sua figlia. Mazinga (Marco Giallini) è il capobranco, colui che coordina il lavoro del gruppo, che è sposato con una poliziotta e si ritrova a dover affrontare un figlio di sedici anni con ideologie dell’estrema destra e che se ne va di casa per unirsi a un gruppo di skinheads.

Ai tre si aggiunge il giovane Adriano (Domenico Diele) che pare indossare la divisa più per necessità economica che per vocazione morale e senso civico. Ognuno dei protagonisti si ritrova, così, oltre a combattere la criminalità e l’ingiustizia, a combattere entro le mura domestiche alla ricerca di un’utopia: quella della giustizia morale e civile.

Questi uomini si chiamano “fratelli”, si difendono anche quando non ci sarebbe nulla da difendere.. come quando si picchia una donna! Sono esaltati e non riescono a scindere la loro immagine di “celerini” da quella di uomini, di mariti, di padri di famiglia.

È come se indossassero le proprie divise anche quando non sono in servizio, facendone un volgare abuso seppur dettato dalla “giustizia” e dalla volontà di porre un freno, un limite alla criminalità. Il tutto si svolge sullo scenario degli scontri allo stadio Olimpico, come quello Roma-Napoli, del G8 di Genova, della morte del giovane Gabriele Sandri e del poliziotti Filippo Raciti, l’uccisione di Giovanna Reggiani..

Ed è forse questo il punto di forza del film di Sollima: il fatto che non ci sia uno schieramento dalla parte dei “buoni” o dei “cattivi” ma che venga fornito il quadro totale della situazione e dell’azione. Si narra la vita e il lavoro di questi uomini che in realtà non sono dei duri ma che si fanno scudo del proprio lavoro e della propria divisa che diviene parte del “tutto”.

Il film non professa alcuna ideologia politica, non la sfiora nemmeno mostrando solo – e nella giusta misura – quale sia l’orientamento di questi gruppi, di questi schieramenti.. che giunge sino all’esaltazione, all’esagerazione che poi può, necessariamente, sfociare in una certa ottusità e in una certa indomabile follia.

ACAB è un film che deve essere visto soprattutto dal pubblico giovane che troppo spesso vede nella “divisa” solo la stoffa e la rappresentazione dello Stato e non quella dell’uomo, dell’essere umano. È un film che gli stessi celerini dovrebbero vedere per fargli notare quanto sia labile il confine tra potere e, a volte, abuso di potere.. anche se per giusta causa.

Di certo c’è il fatto che questo film è degno di moltissima attenzione perché valido e assolutamente equo, giusto, preciso. L’azione è in continuo movimento, non ci sono momenti di sospensione, la tensione e l’adrenalina sono sempre ad altissimi livelli e questo è merito della bravura del regista e dei suoi interpreti.

A questo proposito meritano una nota le interpretazioni di Favino che è bravissimo a passare dai panni di un industriale borghese a quelli di un poliziotto da mille euro al mese, e quella di Giallini nelle vesti di un padre fallito e di un poliziotto che sa quanto ci sia di marcio nella vita e nel suo stesso lavoro che troppo spesso ha tralasciato la legalità.

Ma c’è una speranza verso la pura giustizia ed è quella che incarna il personaggio di Adriano che alla fine riesce ad ammettere di aver scelto la vita del poliziotto perché volenteroso di credere a un mondo migliore e desideroso di un lavoro onesto.. e lo dimostra non solo a parole!

Davvero un buon film questo di Stefano Sollima uno di quei film che dovrebbero esser visti nelle scuole.. perché è già da lì che nasce quel senso di giustizia che poi formerà gli uomini e le donne della nostra società futura.

Qual è il confine tra giusto e sbagliato?

di Antonella Molinaro

Il regista Stefano Sollima (figlio del più famoso Sergio, regista e sceneggiatore, autore, tra gli altri, dello sceneggiato televisivo e dei film su Sandokan), dopo due stagioni dell’imperdibile Romanzo Criminale, debutta al cinema con questo straordinario film.

Punto di partenza della sceneggiatura di A.C.A.B. (dal motto del movimento skinhead ‘All Cops Are Bastard’) è l’omonimo libro-inchiesta di Carlo Bonini, ma Sollima lo stravolge e lo rende incredibilmente suo, a partire dalla creazione dei tre personaggi Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini), compagni di squadra ed amici inseparabili, cui si aggiunge il giovane Adriano (Domenico Diele).

Sollima non si limita a portare sullo schermo il libro ma indaga, sviscera, approfondisce per cercare di capire e spiegare, ma senza giudicare, dove si può arrivare quando ogni giorno si respira odio e violenza e dai quali si finisce per essere plasmati, e qual è il labile confine tra autorità e abuso di potere.

Il film è un pugno nello stomaco, vera protagonista è la violenza (raramente, come in questo caso, così necessaria per far riflettere) di cui i protagonisti sono vittime e colpevoli, letteralmente lasciati in balia degli eventi per eseguire gli ordini di chi spesso non comprende la gravità delle situazioni.

Ma essere celerini significa fare squadra, essere fratelli, un unico corpo contro l’avversario, sia questo un ROM da sfollare, un manifestante da controllare, un ultrà da affrontare. Peccato che il concetto di ‘fratelli’ venga spesso troppo liberamente interpretato dai tre anziani a seconda delle situazioni e difficilmente accettato dal giovane Adriano, entrato nel corpo dei celerini ‘perchè lì ti pagano di più‘, ma che finisce per diventare la vera coscienza del film.

Dov’è il confine? Quando può essere giustificata la violenza? Cos’è giusto e cosa è sbagliato? Queste sono le domande che lo spettatore si pone durante la visione di questo film che cerca di essere uno spaccato oggettivo ed obiettivo della nostra società senza giustificare né dare risposte.

Bravissimo quindi Sollima nel rendere così brillante un film difficile, pieno di scene adrenaliniche ed ad alto impatto, grazie anche ad una colonna sonora quanto mai azzeccata. Ma strepitosi anche tutti i protagonisti: occhi puntati sul giovane Domenico Diele, forse una promessa del cinema italiano.

L’acronimo che dà il titolo al film in un tatuaggio dell’amico di Adriano

Un film di amicizia, quella virile

di Francesca Barile

ALL COPS ARE BASTARDS: Così dicevano i The 4 skins negli anni Ottanta. Questo acronimo diventato di uso comune tra gli skinheads diventa titolo di un romanzo scritto da Carlo Bonini, giornalista di Repubblica e di un film crudo e realistico.

Protagonisti quattro poliziotti del reparto della celere in trincea da sempre, spirito di corpo da vendere e tanta adrenalina. Musica rompitimpani, scene dure, ritmo acceso da far mantenere viva l’attenzione da inizio a fine, ACAB è anche un film che parla di amicizia, quella virile che tanto incantò i nostri poeti classici da Omero a Virgilio.

I tre protagonisti principali sanno di poter contare solo sui compagni e quando arriva la nuova recluta fanno di tutto perché entri nello stesso spirito, ma qualcosa non funziona nel meccanismo

Colpa delle vite dolenti di ognuno di loro: Mazinga un padre incompreso, a scontrarsi ogni giorno col figlio skinhead di quella destra malata che ammorba come tutti gli estremismi di ogni colore, Negro un marito allontanato da chi pensava di aver toccato il cielo e si è trovata a quadrare il magro salario da poliziotto usando poi una tenera bimba come arma di ricatto, Cobra, solitario, ideologicamente preso dal Ventennio, a volte troppo violento, ma con un cuore che batte forte.

Ee poi c’è il nuovo arrivo, dalle periferie profonde e emarginate dell’urbe, in cerca di un’occupazione onesta, uno sfratto che incombe e una casa popolare assegnata e occupata dallo straniero. Cronaca, storia ( i fatti della Diaz che entrano di straforo), violenza quotidiana ingredienti di questa pellicola forse un po’ troppo dura da digerire ma più vera degli edulcorati sbirri delle fiction tv.

Il regista Stefano Sollima

Grande plauso a tutti gli interpreti, Favino in testa, ormai attore con la A maiuscola, ottimo Giallini, il più anziano, sguardo cupo, in parte dalla prima all’ultima scena. E guardando il film la mente ritorna a Pasolini:

« A Valle Giulia, ieri
si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi amici
(benché dalla parte della ragione)
eravate i ricchi.
Mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi
ai poliziotti si danno i fiori, amici. »  (sulla battaglia di Villa Giulia Roma 1 marzo 1968 scontri tra studenti borghesi e celerini proletari)

La conferenza stampa

Continua a leggere l’articolo sulla conferenza stampa del film con le parole dei protagonisti.

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