L’idea di vedere finalmente un film in lingua italiana (quante lingue nella babele del festival…) e la curiosità sulla proiezione, mi fanno alzare anticipatamente per assistere all’anteprima di “Pietro”, poche ore prima di conoscere il regista Daniele Gaglianone per l’intervista a Cinemio.
Il film, sin da subito, risulta coinvolgente, il personaggio di Pietro, grazie all’ottimo attore Pietro Casella è uno di quei personaggi in cui è facile riconoscersi, magari non con totale aderenza; disadattato nella vita, nel lavoro e nelle relazioni, Pietro sopravvive al suo/nostro mondo fatto di soprusi, devastati affetti, criminalità da sottoborgo. La relazione con il fratello tossicodipendente ed i continui scherni da parte degli “altri” portano Pietro a chiudersi e chiudere gli occhi come per vedere/non vedere la realtà. La rabbia che lo porterà a gesti estremi nel finale è una rabbia che, come afferma il regista “ci appartiene, è in noi, è sui titoli che durano mezza giornata sui giornali”.
Applausi per il film e bella intervista a Daniele Gaglianone.
Dalla Francia invece arriva “Memory Lane”, un film malinconico, autunnale. Michael Hers, dirige un film corale, una storia moderna ma al tempo stesso sempre universale; un gruppo di amici, compagni di scuola, si ritrova insieme e traccia un segno sugli anni che passano e sul tempo che non porta risoluzioni. Intenso in alcune scene, come le lunghe passeggiate senza dialoghi dei personaggi, a tratti un pò lento, il film realizza l’emozione attraverso il ricordo dei periodi non propri felici che ognuno di noi ha vissuto e la fortuna di aver avuto vicino una persona fedele.
“Rubber”, di Quentin Dupieuz (Mr. Oizo, per chi ricorda il brano electro Flat Beat che ha caratterizzato una campagna pubblicitaria TV della Levi’s) è uno dei film più strambi mai visti già ad iniziare dalla storia, quella di un pneumatico assasino in giro per il deserto californiano, che viene attratto dalla bellona di turno. Dupieuz dosa bene gli ingredienti per far si che il suo film non risulti il solito trash raffazzonato e ci riesce sicuramente. Le sequenze del pneumatico che si muove, corre, ascolta, guarda ed uccide sono veramente un buffo spasso per l’immaginario. L’invenzione è proprio quella di sostituire alla classica figura di serial killer, con motivazioni più o meno credibili, un oggetto inconsueto e non qualificabile, il radiale appunto. Semmai riesca a trovare una distribuzione anche in Italia una capatina al cinema la farei.
All’incontro dedicato a Corso Salani c’è poca gente ma si respira un’aria buona, nonostante il clima emotivamente forte, vista la recente scomparsa del regista. Molti amici, molte persone che lo hanno conosciuto e che raccontano aneddoti, sogni, progetti, insomma il vissuto di Corso. Si parla dei suoi film, dei suoi viaggi, dei confini tra persona e personaggio, presenti nei suoi “racconti visivi” in giro per il mondo. Poi si gettano le basi per una futura Fondazione Salani ed infine si va in sala per vedere i due cortometraggi diretti dal regista e commissionati dall’Enel per una campagna contro gli infortuni. L’invisibilità del cineasta e la sua presenza, la seduzione attraverso il viaggio e il viaggio come lettura delle dimensioni personali sono il cinema di Corso Salani, un cinema di sguardi e di verità, un cinema/vita che è ancora tutto da scoprire, andando a recuperare i suoi lavori.
Mancano pochi giorni al termine del festival e in attesa del film che ci faccia innamorare ci si rituffa nella buia sala delle meraviglie.