Il mondo dei media e la loro connessione con il mondo (televisione, internet e carta stampata) sono i protagonisti della nuova giornata al Far East.
“The devil’s path” apre la mattinata dal Giappone; una catena di omicidi, un giornalista curioso e un’agente immobiliare formano un terzetto di personaggi inquietanti e tragicamente uniti tra loro da una serie di morti. Il film racconta la storia di un reporter che viene coinvolto da un assassino in carcere che medita vendetta ai danni di un agente immobiliare, di cui esso stesso è stato collaboratore e sicario, che rilevava terreni e immobili attraverso l’uccisione dei proprietari. La pellicola, firmata da Shiraishi Kazusa alla sua seconda prova dopo un inizio da indipendente, è stato terzo miglior film del 2014 in patria e regge bene i 128 minuti di durata grazie al terzetto di attori e all’uso sapiente delle immagini di violenza, su tutte l’omicidio a suon di alcol di un inerme vecchietto.
Con “The snow white murder case” del giapponese Nakamura Yoshihiro, si entra nel mondo dei social attraverso la ricostruzione, condivisa in rete su Twitter da parte di uno dei personaggi del film, degli indizi che porteranno alla scoperta dell’assassino di Miki Noriko, incantevole ragazza il cui cadavere viene ritrovato bruciato sulle rive di un lago. Un giallo in piena regola suddiviso schematicamente dalle differenti versioni dei personaggi coinvolti nell’omicidio, una storia raccontata sia dai sospettati sia dai tweet che appaiono sullo schermo mostrando le comunicazioni, in tempo reale, di ciò che il network assimila e rigetta sull’omicidio. Proprio la concatenazione tra ciò che vediamo e ciò che la rete produce è uno degli spunti interessanti del film che, insieme alla satira di un terzo elemento, la televisione e i suoi opportunismi, traduce in rompicapo le diverse modalità relazionali del mondo connesso.
“Tamako in moratorium”, ancora dal Giappone, ci porta invece in un mondo e in una vita, quella della giovane neo universitaria e neo disoccupata Tamako, fatta di giorni passati ciondolando tra divano, TV, cibo. Cosa fare della propria esistenza e soprattutto perché farsi questa domanda adesso? Così Tamako evita di entrare in viziosi giri mentali preferendo cullarsi tra giornate vuote riempite solo dalla rapporto con suo padre, rivenditore in un negozio sportivo e da un suo piccolo amico fotografo. Tutto scorre lento, non c’è depressione in Tamako ma nemmeno spirito di iniziativa, elementi che ritroviamo anche nelle intenzioni del regista Yamashita Nobuhiro; le scene sono spoglie, lente, senza picchi narrativi, tranne qualche emersione verso il finale con l’arrivo del personaggio dell’ipotetica fidanzata del padre e il film ogni tanto ne risente, non riuscendo a farci entrare come vorremmo nel mondo di Tamako rimanendo così un pò fuori dalla porta, probabilmente come il regista ha voluto.
Tra connessioni “volanti” e momenti di relax nell’accogliente Teatro Nuovo di Udine, il Far East Film Festival va avanti e continua a raccontarci l’Oriente e le sue storie
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