Continua la lezione di cinema della scrittrice e regista Cristina Comencini. Dopo aver parlato del suo rapporto con la regia e la scrittura, in questo articolo approfondisce il tema dei ruoli femminili in questi campi.
Le donne registe
Jane Campion 5/6 anni fa a Cannes, a chi le chiedeva perché le donne registe fossero poche (e questo non solo in Italia ma in tutto il mondo) ha risposto: ‘fare la regista è anche una questione di potere e le donne di fronte ai giochi di potere si stufano e fanno altro’. E’ una spiegazione convincente?
Cristina Comencini: prima di tutto mi convince molto Jane Campion perché è una grande regista (e per fortuna che c’è, aggiungerei). Si mi convince in parte e potrei aggiungere qualcos’altro. Ora le generazioni di giovani donne sono molto decise a fare le registe ma trovano molte complicazioni. Io non lo credevo, non mi piace neanche parlare sempre di questo tema, in fondo amo parlare di arte e basta, invece dobbiamo ancora parlare di soggettività e di genere perché è importantissimo. Per lungo tempo, dato che ho insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia, ho visto molte più donne tra le attrici e gli altri mestieri rispetto alla regia. Mi sono sempre chiesta come mai e credo fosse quello che diceva la Campion, cioè il rapporto col potere.
Un potere neanche malvagio, è un rapporto col comando (il regista è in testa ad una truppa, non per niente in inglese si dice troupe) e credo che le donne un po’ ne abbiano paura. L’ho detto molte volte e lo penso però credo che adesso ci sia anche dell’altro: sto cominciando a pensare che proprio la poetica femminile, quello che le donne devono raccontare, quello che è urgente sapere per tutti noi, non viene semplicemente finanziato. E’ la prima volta che lo dico, ma è la cosa peggiore. Le donne devono fuggire dall’atteggiamento di vittimismo però con forza va detto che c’è tanto talento nelle donne, un talento non solo autoriale ma che incontra il pubblico. Però credo si sottovaluti questa cosa e mi auguro che nei posti di comando, quelli in cui si decidono i finanziamenti, ci mandino sempre più donne perché da lì forse può nascere veramente una parità, non di numero, ma di ricchezza di cose da raccontare. Le donne sono state per millenni nelle case, si sono raccontate storie, hanno inventato. Che questo diventi racconto per tutti, per gli uomini, le donne, i bambini cambierà il mondo, ma ci vuole un po’ di tempo.
Questo è un tema molto interessante perché c’è questa strana retorica che agli uomini non interessano le storie di donne. Invece il cinema deve essere uno strumento per conoscerle meglio. E’ una cosa che si riscontra? Le storie femminili sono un genere cinematografico a parte? Cosa possiamo imparare dalle donne? Nel video la risposta della regista:
Se non ora, quando?
Cristina Comencini è protagonista di un movimento, Se non ora, quando? nato nel 2011, teso a difendere la dignità delle donne da tutti i punti di vista. Gli incontri, le manifestazioni organizzate da questo movimento hanno portato ad uno dei momenti molto importanti della vita di questo paese. Un gruppo di donne ha affermato in modo abbastanza insolente che delle donne si stava dando un’immagine terrificante. C’è stata una chiamata imponente e qualcosa sta cambiando. Le donne stanno ricevendo dei cambiamenti generazionali anche grazie al lavoro di questo movimento? La risposta della regista nel video:
Il tema dell’omosessualità: Il più bel giorno della mia vita
Uno dei film più belli della Comencini regista è certamente Il più bel giorno della mia vita, un film di grande sensualità innestata sul desiderio, sul senso di colpa, nel quale, tra l’altro spicca una Virna Lisi più bella che mai, affascinante come quando era una delle donne più belle del mondo. Cosa ricorda la regista di questo film? Nel video la risposta nella quale tocca anche il tema dell’omosessualità:
Cristina Comencini: Io pensavo che l’omosessualità fosse una cosa assodata e invece no. Le madri crescono i figli senza saperlo e i figli hanno difficoltà a dirlo. Molti miei amici omosessuali sono andati a vedere il film con la madre perché non avevano il coraggio di parlarne ed hanno avuto l’idea di portarle al cinema e vedere cosa succedeva. L’aspetto dell’omosessualità nel film lo ricordo come una cosa molto problematica per me perché volevo farla, volevo raccontarla, sentivo che nella famiglia era importantissimo, però volevo farla bene e infatti molti miei amici omosessuali mi hanno aiutato a concepirla a vederla nel rapporto affettivo. Mi ricordo di una sala gremita di gente, forse era al nord, e quando il ragazzo si inchina nel letto dell’amico, compagno di una vita, c’è stato un mormorio e alcuni sono usciti, ma questo è un altro aspetto…
L’improvvisazione
Cristina Comencini: Il cinema è una macchina mangia soldi. Ogni giorno che si gira costa tantissimo, la sensazione che uno ha è, da una parte lasciarsi andare alla possibilità di inventare al momento, dall’altra di avere delle idee con cui andare a girare. E’ una lotta continua: quando vai sul set devi essere libero di avere l’idea dell’ultimo momento che è bellissima. Anche a me è successo: mi ricordo ne La fine è nota, Fabrizio Bentivoglio sta cercando un ragazzo, il protagonista, in Sardegna in un paese deserto, il posto in cui è vissuto. Mentre giravamo queste scene mi è venuto in mente di mettere il protagonista in un punto e poi, al passaggio di un camion, farlo sparire. D’accordo, diceva la produzione, ma quello si fa male perché non è previsto, ci vuole lo stuntman. Alla fine l’abbiamo fatto, abbiamo rischiato. Fare il regista è un lavoro nel quale da un lato ti chiedono sempre cose, dove vuoi la macchina da presa, quella del vento, è tutto un lavoro di preparazione, allo stesso tempo però deve essere abbastanza libero di farti venire un’idea dell’ultimo minuto. E’ una lotta tra organizzazione e anarchia.
Termina qui la seconda parte della lezione di cinema di Cristina Comencini. Continua a leggere la terza ed ultima parte.