Quarto film in concorso al Sudestival 2020 è L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti. Nell’articolo l’intervista al regista.
L’uomo senza gravità
Oscar (Elio Germano) nasce con un dono: l’assenza di gravità. Sua madre (Michela Cescon) ma soprattutto la nonna (Elena Cotta) cercano di tener nascosto il suo segreto che conosce solo la sua amica Agata (Silvia D’Amico). Oscar però vuole conoscere il mondo e farsi conoscere e la sua innocenza si scontra con l’opportunismo e l’egoismo di molti.
Per la sua opera prima Marco Bonfanti sceglie di portare sullo schermo il tema del talento, piccolo, grande o strano che sia, che ognuno di noi deve trovare in se e provare a mostrare al mondo senza temerne le reazioni. Ottima interpretazione di Elio Germano che riesce sempre a trovare la chiave interpretativa giusta per dare forza al film senza diventarne il punto focale pur essendone il protagonista.
Intervista a Marco Bonfanti
Ciao Marco, bentornato su cinemio. Del film sei autore di soggetto e sceneggiatura? Ci racconti la sua genesi? Come hai avuto l’idea di questo soggetto così originale?
Sono co-autore di entrambi, sì. L’idea nasce durante una passeggiata con Anna Godano, che oltre ad essere la mia compagna è anche una delle co-produttrici del film. Ci stavamo interrogando su quali fossero le pochissime oggettività presenti sul pianeta e ci è venuta in mente la legge di gravità. Da lì ho pensato cosa sarebbe successo se un uomo fosse nato in sua assenza. Poi il film ha preso un’altra piega, nel senso che non si esplicita mai che il protagonista sia nato in assenza di gravità o soffra di questa anomalia.
E’ solo un nomignolo spendibile a livello mediatico, che compare a metà del film. Ci interessava ragionare più che altro sul concetto di leggerezza. Un uomo diverso, un uomo ingenuo e leggero d’animo inserito in una società pesante, piena di pregiudizi, sfruttatrice, che lo rigetta e fatica ad accoglierlo. Poi siccome perseguo da qualche tempo un discorso sulla fiaba, ho stilizzato molto il racconto.
Marco Bonfanti
Ho letto che per il film sono state utilizzate alcune delle tecnologie di Gravity per rendere realistica l’assenza di gravità e hai avuto a disposizione i migliori professionisti italiani e internazionali del campo. Ci racconti come sono andate le riprese e quanto questo aspetto più tecnico ha avuto impatto su quello umano?
Abbiamo utilizzato un braccio meccanico che si chiama Macomoco (gestito da Maurizio Corridori e dalla sua società). Esistono soltanto tre sistemi meccanici analoghi nel mondo (e uno è stato usato proprio nel film di Cuaron). Permette di creare delle evoluzioni aeree incredibili, come ribaltamenti e rotazioni sull’asse, ed è stato usato in numerose produzioni hollywoodiane. Poi abbiamo avuto una squadra straordinaria di stunt, guidata da Franco Salomon, per le coreografie che nella nostra idea dovevano sembrare dei balletti aerei.
In questo senso, abbiamo dovuto ricostruire a Cinecittà tutti gli ambienti in cui il protagonista vola, per semplificare il loro lavoro. In ultimo il nostro supervisor ai Vfx, Stefano Leoni, ha coordinato tre studi di post-produzione: Edi Effetti Digitali Italiani, Digital District e Netflix stessa.
Nel complesso volevamo che gli effetti speciali non fossero invadenti, ma che sembrassero quasi invisibili, perfettamente integrati nel racconto. Non puntavamo alla spettacolarità fine a se stessa, ma a qualcosa di più poetico, di più naturale. In questo senso il lato umano non è mai venuto meno.
Marco Bonfanti
Protagonista assoluto è ovviamente Elio Germano nei panni di Oscar. Ci racconti come l’hai scelto e come hai lavorato con lui sulla costruzione del personaggio?
Sono convinto che Elio sia tra i più bravi e dotati attori nel panorama odierno, non solo italiano. Il personaggio aveva sfaccettature complesse e inespresse da portare avanti ed ero sicuro Elio fosse perfetto per interpretarlo, anche fisicamente. Ci siamo incontrati una prima volta e ci siamo trovati subito d’accordo su tutto.
Oscar doveva essere un osservatore della vita, più passivo che attivo, schiacciato dentro se stesso a causa dell’oppressione esterna della società. Ha fatto un lavoro minuzioso in fase di pre-produzione. Erano importantissimi l’accento, la capigliatura, la camminata, la destrezza nell’usare lo zaino, la mobilità espressiva, l’uso delle spalle ricurve.
Tutto doveva andare in direzione della fragilità, dello spaesamento e dell’ingenuità del personaggio. Credo che Elio sia stato straordinario. Il suo accento, per esempio, che si raffina sempre di più nel corso della narrazione è magnifico. Inoltre sul set è stata per lui anche molto dura fisicamente. Recitare sospeso a mezz’aria, imbragato o agganciato a sistemi complessi che gli impedivano spesso la mobilità, senza però perdere naturalezza interpretativa penso sia stata una sfida davvero difficile.
Marco Bonfanti
E com’è andata con gli altri interpreti Michela Cescon, Elena Cotta, Silvia D’Amico?
Sono stato molto fortunato abbiano accettato tutti il progetto, perché sono degli interpreti incredibili. Erano tanti anni che volevo lavorare con Michela Cescon, un’attrice straordinaria. Poi in lavorazione mi hanno meravigliato la sua disponibilità, la sua bravura e la sua grinta. Si è sottoposta a quattro ore di trucco per invecchiarsi senza battere ciglio. Oltretutto, nella fase della vecchiaia ho deciso anche di riempirla di pesi nascosti tra i costumi. Essendo una donna piena di energia, volevo
si muovesse lentamente. Si è portata appresso per dieci ore al giorno quasi dieci chili. Ma era persino entusiasta della cosa. Sono convinto che la sua prova si straordinaria. Non era facile attraversare quarant’anni di vita continuando a modificare il proprio carattere, mantenendo però
centrale l’anima del personaggio dall’inizio alla fine.Anche Elena Cotta è stata bravissima. Aveva un ruolo molto difficile, molto duro, ma è stata incredibile nel riuscire ad alleggerirlo. Doveva essere concreta, ricca di pregiudizi religiosi, anche piena di una violenza sotterranea, senza tuttavia diventare un cliché cinematografico. Ha infuso quella sottile ironia, che ha bilanciato perfettamente il personaggio. Poi fisicamente anche per lei è stata dura. Doveva correre, salire su un tavolo. Ha fatto tutto con una professionalità invidiabile e si è molto divertita.
Invece Silvia D’Amico ha avuto secondo me la grande capacità di essere bambinesca e sensuale insieme. Ha studiato molto approfonditamente la bambina del primo atto e l’ha riportata modificata nel suo ruolo di adulta. La difficoltà stava nell’essere un po’ bipolare, con delle tensioni interiori tra l’omologazione della società e l’attrazione verso la purezza anti-conformista di Oscar. Doveva essere eccessivamente costruita fuori, ma libera con il protagonista. Secondo me è stata molto brava e centrata.
Marco Bonfanti
L’uomo senza gravità è distribuito da Netflix sulla cui piattaforma è possibile vedere il film. Che impressione hai avuto di questa piattaforma streaming che ultimamente sta investendo molto nel cinema italiano?
Sottolineo che la produzione è di Isabella Spinelli e Anna Godano, in co-produzione con una società belga, Climax Films. Quanto a Netflix, credo sia un’opportunità per mostrare il proprio lavoro ad una platea enorme e sparsa nel mondo.
Marco Bonfanti
Per concludere uno sguardo al futuro: dopo il tuo esordio con L’uomo senza gravità hai già un nuovo progetto nel cassetto? Puoi parlarcene?
Ho parecchie idee in cantiere, ma non so quale di queste verrà sviluppata e per prima. Vedremo…
Marco Bonfanti
photo credits: sudestival.org